di Anna Grieco
Crisso affondò il gladio nel ventre del suo avversario, passandolo da parte a parte.
Nello stesso istante un boato risuonò tra le gradinate dell’arena di Capua. Il popolo inneggiava il nome del coraggioso gallo, la loro implacabile sete di sangue era stata ammansita anche per quel giorno.
Il gladiatore, con il dorso della mano, si asciugò il sudore che colava copioso giù dalla fronte, poi strappò la spada dal cadavere riverso al suolo, facendo leva sullo sterno con un piede. Alzò l’arma verso il cielo, provocando un nuovo impeto di urla inneggianti, quindi s’inchinò al suo padrone, che rispose con un lieve cenno del capo.
Solo dopo tale rituale poté riguadagnare il cancello che l’avrebbe condotto nella stanza della vestizione, dove altri lottatori si stavano preparando per l’imminente combattimento che li attendeva nell’anfiteatro.
Sapeva che solo pochi di loro sarebbero ritornati al ludus gladiatorius, quella notte.
Gli uomini, a coppie, furono richiamati a turno sulla sabbia.
Alcuni ritornarono indietro feriti e sanguinanti, altri ancora distesi su una lettiga, morti.
Per quanto lo riguardava, lui se ne restò in disparte senza dire una parola, seduto su una panca in attesa che quella giornata finalmente terminasse.
Come sempre accadeva quando restava solo con i propri pensieri, la mente vagò indietro a quel tempo lontano in cui era ancora un uomo libero e viveva nella sua terra, la Gallia.
Era venerato come un re tra il suo popolo, ne era il migliore condottiero. In questa terra straniera, invece, non era né più né meno che un cagnolino scodinzolante che doveva mostrarsi felice e contento quando il suo padrone decideva che era stato tanto bravo da meritarsi un osso.
I romani erano calati sul suo villaggio cinque anni prima, come uno sciame di locuste. Avevano depredato, incendiato, stuprato e ucciso in nome dell’Impero, e in un attimo lui aveva perso ogni cosa: la casa, la famiglia e soprattutto il rispetto di se stesso. Del resto non aveva avuto scelta: o vivere e combattere per lo svago dei suoi nemici, nella speranza di riuscire un giorno a infrangere il giogo che lo teneva avvinto, oppure morire e lasciare che tutte quelle vite spezzate anzitempo restassero invendicate.
Aveva scelto la prima opzione, perché non era mai stato un vigliacco. Sarebbe stato semplice sguainare la spada e lasciarsi uccidere, ma come avrebbe potuto presentarsi al cospetto dei suoi padri con quell’onta sulla coscienza?
Gli era stato inculcato sin da bambino che arrendersi era una sconfitta, che il sangue si lavava col sangue. Non sarebbe venuto meno al suo credo. Alla fine si sarebbe riunito ai suoi cari, ma solo quando i tempi fossero stati maturi. Una cosa sapeva per certo: alla fine i romani avrebbero pagato per i crimini commessi e lui sarebbe morto per assicurarsi che ciò avvenisse.
Era l’imbrunire quando Crisso, lavatosi di dosso la rena e il sangue, fu ricondotto nella sua cella, che aveva il privilegio di abitare da solo.
Il luogo era abbastanza confortevole, con un comodo pagliericcio, uno sgabello e un tavolo che in quel momento era imbandito come in un giorno di festa.
Quinto Lentulo Batiato lo trattava bene. Era il suo investimento più redditizio dopo tutto e voleva preservarlo il più possibile.
Prese la seggiola e si sedette, poi afferrò un pezzo di carne e se lo portò alla bocca, mangiando con avidità e annaffiando ogni boccone con un sorso di vino che gli riscaldò piacevolmente il ventre. Certo il liquido rosso degli dei, così come lui amava definirlo, era abbastanza scadente rispetto a quello che si serviva nella casa del lanista, ma sempre meglio che niente.
Aveva avuto modo di assaggiare quello speciale pochissime volte, perlopiù quando il padrone lo aveva fatto chiamare per esporlo come un trofeo davanti ai suoi amici patrizi. Quel gusto forte, ricco contro il palato, era paragonabile solo alla pelle profumata di una donna.
Aveva appena allontanato da sé il piatto, dopo aver trangugiato ogni cosa, quando una guardia si avvicinò alle sbarre di ferro, aprendo la serratura.
Il soldato si fece da parte, spalancando il cancello quel tanto che bastava affinché una fanciulla entrasse timidamente, le membra ricoperte in maniera succinta da una tunica di lino grezzo.
Non l’aveva mai vista prima, doveva essere nuova.
Il lanista ogni tanto gli mandava una schiava per sfogare i suoi bisogni, soprattutto dopo un incontro particolarmente impegnativo. Cosa che era avvenuta quel giorno.
« Con gli omaggi di Batiato! » sogghignò la sentinella, dopo di che richiuse di nuovo la cella con due giri di chiave e sparì oltre il corridoio di pietra.
Nessuno dei due parlò per diversi momenti, poi la ragazza sganciò le fibule che le tenevano su la veste e la lasciò ricadere sul pavimento con un fruscio.
La bocca di Crisso si seccò all’istante e lui deglutì con forza. Era passato molto tempo da quando aveva posseduto una femmina e quella pelle così morbida e delicata riluceva alla luce soffusa delle candele che rischiaravano a stento l’ambiente.
Il suo corpo reagì prontamente alla delicata bellezza della ragazza. Quelle membra sinuose non gli fecero desiderare altro che affondare in lei fino a scordarsi di essere soltanto uno schiavo, almeno per qualche ora.
Si avvicinò e con un dito le fece sollevare il mento. Quegli occhi scuri erano colmi d’innocenza e gli provocarono un tuffo al cuore, perché gli ricordarono in maniera incredibile quelli dell’amata sposa.
Fu delicato quando incontrò quelle labbra, si mosse su di esse con una tale gentilezza che a poco a poco la tensione abbandonò il corpo della giovane, che rispose al suo bacio e lasciò che le loro lingue s’intrecciassero.
Quando la sollevò da terra e la depose sul giaciglio lei non si oppose in alcun modo, neanche dopo che le sue grosse mani salirono fino a posarsi sui seni sodi che gli riempivano i palmi.
La fanciulla gemette quando le strizzò i capezzoli, il corpo acerbo preda della stessa smania che stava consumando anche lui.
Crisso tuffò il viso fra le alte colline dei seni, assaggiando le morbide carni, poi succhiò, avido. Quando la coprì con il suo corpo imponente la ragazza gli accarezzò la schiena in un movimento sensuale che lo eccitò fino al parossismo.
Allargò le gambe con un ginocchio, quindi s’immerse in profondità dentro di lei, lasciandosi accogliere da quelle calde e strette pareti.
Non incontrò barriere, né si aspettava di trovarne visto che sicuramente il padrone doveva aver assaggiato prima di lui quel giovane corpo.
Al pensiero fu attraversato da una smania di possesso che non era preparato a provare. Per reazione i fianchi presero a muoversi con più energia, mentre la femmina mugolava di piacere afferrandogli le natiche dure come pietra e esortandolo a penetrarla più a fondo. La accontentò con un sibilo strozzato, spingendo fino a temere che il muretto di pietra sul quale era poggiato il pagliericcio si sgretolasse.
« Dimmi il tuo nome! » le ordinò quando la donna affondò il volto nella sua spalla, i denti digrignati per non cedere al desiderio di appagamento che gli premeva nei lombi.
« Sarah! » esalò la giovane in un sospiro, la voce rotta.
Gli bastò pronunciare quel nome per raggiungere l’estasi, poi scosso dai brividi si lasciò catturare dall’oblio.
La usò altre tre volte quella notte.
Crisso aprì gli occhi al cigolio delle sbarre che si aprivano. Sarah era già vestita e stava per uscire. Si guardarono a lungo, poi lei si voltò e se ne andò, in silenzio.
« Sbrigati a mangiare, il Magister è già fuori e sta mordendo il freno. Torno a prenderti appena avrò ricondotto lei nel gineceo » lo incalzò la guardia prima di congedarsi.
Non ci volle molto prima che il soldato Glauco fosse di ritorno, ma lui era già pronto. Discesero fino al cortile che correva tutt’intorno alle celle. Lucilio, l’istruttore, stava già abbaiando ordini e rimproveri, soprattutto alle nuove reclute.
Sorrise, aveva proprio bisogno di sgranchirsi i muscoli dopo quella notte di passione.
« Levati quel ghigno idiota dalla faccia e muoviti, campione! Sempre che le gambe reggano ancora il tuo peso » urlò il Magister facendo schioccare la frusta a un passo dai suoi piedi.
Quelle parole furono accolte da un coro di risate da parte dei lottatori del ludus.
Le celle erano troppo vicine perché si potesse aspirare a un po’ di riservatezza e lui non si era certo risparmiato, tuttavia non si lasciò toccare dalla frecciata.
« Le mie gambe sono a posto, sono pronto a dimostrartelo in qualsiasi momento, Doctor » ribatté con una notevole faccia tosta che strappò una smorfia al suo allenatore.
Considerando com’era allegro di solito Lucilio, quel gesto corrispondeva a un sorriso tutto denti.
Durò ben poco comunque.
« Farai coppia con Enomao » gli ordinò infatti il Magister. « Oggi vi eserciterete nel corpo a corpo. »
Non se lo fece ripetere.
Enomao era una gigantesca montagna di muscoli.
Lucilio li accoppiava spesso durante gli allenamenti, perché nonostante il gallo fosse più basso di statura, si equivalevano quanto a forza bruta.
Si allenarono fino a quando il sole fu alto nel cielo, poi dopo una breve pausa per rifocillarsi sia di acqua che di cibo, ripresero sino a pomeriggio inoltrato.
Fu Glauco a un certo punto a interromperli.
« Batiato vuole vedere Crisso » disse la guardia rivolto a
Lucilio.
Il Magister annuì, poi chiamò il gladiatore e gli riferì il messaggio del loro padrone.
Ovviamente il volere del lanista aveva la priorità su tutto, perciò Crisso si apprestò a seguirlo nonostante puzzasse di sudore e fosse ricoperto di sabbia dalla testa ai piedi.
La magione di Quinto Lentulo Batiato era una meraviglia architettonica. Grandi stanze con colonne doriche s’innalzavano da terra fino al soffitto affrescato. C’erano busti e statue di dei e ninfe e il marmo del pavimento riluceva come uno specchio, senza un granello di polvere a guastarne la perfezione.
Dovettero oltrepassare un’infinità di camere prima di giungere ai bagni e lì, in un’enorme vasca incassata nel pavimento, Batiato era a mollo, circondato da due schiave che non erano lì solo per lavargli il corpo.
Una di queste era Sarah. La cosa gli provocò un enorme fastidio, anche se subito dopo si diede dello stupido. Uno schiavo non aveva diritti, né poteva vantare proprietà su nulla.
Strinse i denti e inchinò il capo davanti al padrone, domandando perché fosse stato condotto al suo cospetto.
« Ho una notizia grandiosa per te, gladiatore. Fra due settimane Crasso in persona ci onorerà di una sua visita. Per l’occasione i migliori lottatori di tutti i ludos si sfideranno nell’anfiteatro di Capua. Tu avrai l’onore di duellare con Asterius, il migliore combattente che ci sia sulla piazza. È molto forte, ma sono sicuro che non avrai problemi a batterlo. Del resto i miei gladiatori sono i più forti di tutto l’Impero » rise Batiato, convinto.
Il cervello di Crisso si era fermato nel momento in cui aveva appreso il nome del suo avversario. La fama di Asterius era conosciuta in tutte le arene ed era risaputo che la Bestia Nera avesse ucciso tutti i suoi avversari, senza risparmiarne alcuno.
Quello cui doveva prepararsi non era uno dei soliti combattimenti, quella era una sfida contro la morte.
Era abituato a scendere in campo con il fiato dell’Oscura Signora sul collo, ma adesso c’era la concreta possibilità che la falce maledetta calasse sulla sua testa una volta per sempre.
« Non hai nulla da dire? » interloquì Batiato, riscuotendolo da tali meditazioni.
« Cercherò di essere all’altezza delle tue aspettative, padrone! » rispose Crisso, ma non furono gli occhi del lanista che cercò, bensì quelli della ragazza alla sua sinistra, che apparivano colmi di paura.
Quella dimostrazione di sentimenti da parte di Sarah gli scaldò il cuore come non avveniva da un tempo immemorabile. Quando parlò di nuovo, la sua voce apparve feroce e determinata.
« Vincerò, lo giuro! » dichiarò.
Batiato batté le mani, entusiasta di tanta determinazione. Ignorava che quelle ultime parole non erano state pronunciate per lui. Dopo qualche istante Glauco e Crisso furono congedati e Quinto rivolse la propria attenzione alle due donne.
Il gallo si voltò, i pugni serrati quando vide una mano di Quinto stringere il seno esposto di Sarah, proprio nello stesso punto dove lui aveva posato le labbra la notte prima.
Mai come in quel momento la smania di spezzare quei maledetti ceppi s’impadronì di lui. Il desiderio di uccidere gli annebbiò il cervello.
Per fortuna il suo lato più razionale gli venne in soccorso.
Doveva ancora pazientare, ma presto, molto presto, l’occasione si sarebbe presentata e lui sarebbe stato pronto a coglierla.
Il viso della giovane, con la sua innocente bellezza, si stagliò nella sua mente mentre si allontanava, così vivido e reale che sembrava gliel’avessero impresso dentro a fuoco.
Sì, sarebbe fuggito da lì e quando l’avesse fatto avrebbe condotto Sarah con sé.
Il vociare della folla aumentò a dismisura quando Crisso fece il suo ingresso nell’anfiteatro. Alzò il braccio con lo scudo per raccogliere gli onori che il popolo gli tributava, poi si diresse verso il palco centrale, dove erano seduti Crasso, i più importanti senatori romani e un Batiato gongolante.
S’inchinò per rendere omaggio come si conveniva, poi riguadagnò il centro dell’arena. Nel momento stesso in cui si fermò, calandosi l’elmo bucherellato sul viso, il suo avversario guadagnò la sabbia.
I lineamenti di Asterius non avevano nulla di umano.
Con la pelle scura come l’ebano e il corpo massiccio ricoperto di cicatrici, il lottatore aveva la testa completamente rasata e superava Crisso di quasi dieci dita. Non era quella la cosa più impressionante, però. Erano gli occhi: sembravano due pozzi senza fondo di malvagità.
Al gallo apparve chiaro che avrebbe dovuto impegnarsi al massimo per mandare giù quel bestione, perché per quanto lo riguardava il fallimento non era nemmeno contemplato.
Osservò il nemico rendere omaggio, poi Asterius s’infilò l’elmo e impugnò la spada, alzando lo scudo all’altezza del petto.
Tutto intorno si fece silenzio, come se l’intero anfiteatro trattenesse il fiato.
Al segnale i due mirmilloni partirono contemporaneamente.
Al segnale Crisso si preparò a sostenere l’ennesima sfida con la morte.
Le spade cozzarono contro gli scudi con un fragore assordante. Su entrambi i rettangoli di ferro apparvero delle vistose ammaccature. I colpi si succedettero uno dietro l’altro, potenti e insidiosi nel tentativo di trovare un punto scoperto nella guardia dell’avversario. I due uomini erano validi combattenti, ma il grande scudo non lasciava molti spiragli, poiché riparava i guerrieri dal petto fino alle ginocchia.
L’unica via era attaccare lateralmente e questo li costringeva a contorsioni estreme del corpo, quasi fossero acrobati anziché guerrieri.
Crisso e Asterius andarono avanti per un tempo che apparve interminabile. Quando uno colpiva, l’altro rispondeva. Il sudore colava dentro gli occhi, offuscando la vista, entrambi erano a corto di fiato. Concentrati su loro stessi, attenti ognuno alle mosse dell’altro, sapevano che se si fossero distratti un momento l’avversario ne avrebbe approfittato per infliggere il colpo letale.
Crisso ansimò. I tentativi di penetrare la guardia del suo antagonista erano andati tutti a vuoto e le gambe cominciavano a risentire della fatica. Doveva risolvere il duello entro breve o l’altro, dotato di più forza bruta, l’avrebbe sconfitto.
Deciso a chiudere la partita, quando il moro attaccò lui schivò prima il fendente e poi si abbassò. I suoi movimenti furono talmente veloci che Asterius, meno agile, non ebbe il tempo di reagire. Crisso infilò una gamba sotto lo scudo e spazzò via il piede su cui la Bestia Nera faceva peso, mandandolo a gambe all’aria.
La folla esultò, esplodendo in un boato. Lui non ci fece nemmeno caso. Calò la spada per infilzare il suo avversario ma quest’ultimo rotolò sulla schiena e sfuggì ai colpi mortali.
Il gallo sapeva che quello era un momento decisivo: doveva sfruttare il vantaggio. Si lanciò con furia contro il nemico, menando fendenti alla cieca.
Asterius non si lasciò sorprendere e ribatté colpo su colpo, gli occhi indemoniati dalla furia, poi approfittando di una lieve incertezza di Crisso, lo ferì di striscio all’addome.
Il gallo per reazione si tenne il fianco.
Fu questione di pochi secondi, ma fu un tempo sufficiente perché il moro riuscisse a rimettersi in piedi.
A quel punto l’ira di Asterius divenne incontenibile. Il gigante, gettato via lo scudo, caricò come un toro, placcando Crisso e facendolo volare all’indietro.
L’impatto col terreno fu violentissimo e il gallo rimase per alcuni momenti immobile, il gladio lontano dalla sua mano.
Asterius si avvicinò inesorabile. « Sei mio! » ringhiò attraverso l’elmo, poi lo sollevò e lo strinse in una morsa, stritolandogli il torace.
Il dolore fu inimmaginabile. Gli occhi schizzarono fuori dalle orbite di Crisso mentre il nemico rideva, pregustando già la vittoria. Non fu lo scherno a riscuoterlo e a spronarlo ad agire.
Fu il volto di Sarah che all’improvviso gli comparve dinanzi.
Raccogliendo ciò che rimaneva delle sue forze si slanciò all’indietro, dando una violenta testata.
Fu ripagato da un grido di dolore da parte del suo avversario e all’improvviso si ritrovò libero. Nonostante il dolore lancinante alle costole corse a raccogliere la spada, sapeva di avere gli attimi contati. Mentre il moro stava per affondare l’arma nello stomaco del gallo, Crisso operò una finta, scartando di lato, poi mettendosi in ginocchio alzò il gladio in una traiettoria perfetta e conficcò la spada nel petto del gladiatore di colore, che ricadde al suolo in un lago di sangue.
L’anfiteatro fu percorso da un rombo di tuono nel momento stesso in cui Asterius sporcò la sabbia di rosso.
Crisso fece in tempo solo ad alzare l’arma verso il palco centrale, poi un velo nero gli cadde davanti agli occhi e il dolore s’impadronì di lui, sottraendolo alla luce.
« Ehi, carne fresca in arrivo! » esclamò Enomao rivolto al campione gallo, quando vide un gruppetto di sconosciuti entrare nel cortile degli allenamenti.
Crisso si voltò in fretta, curioso, ma il movimento repentino gli causò un dolore micidiale alle costole.
Non erano ancora guarite del tutto nonostante fossero trascorsi quasi trenta giorni, ma ormai mancava poco e avrebbe di nuovo potuto allenarsi regolarmente.
Studiò i nuovi acquisti di Batiato.
Sembravano tutti giovani e forti all’apparenza, ma fu uno di loro, in particolare, ad attirare la sua attenzione.
Aveva l’espressione dura e feroce mentre si guardava nervosamente intorno. Quegli occhi saettavano ovunque, prendendo nota di ogni minimo particolare.
Gli ricordava se stesso il primo giorno che l’avevano condotto al ludos, dopo che il lanista l’aveva comprato al mercato degli schiavi. Preso da uno strano impulso si avvicinò, parandosi di fronte allo straniero.
Quest’ultimo lo fissò senza alcuna traccia di paura nello sguardo, nonostante il volto tumefatto e pieno di escoriazioni.
“Deve aver dato un bel da fare alle guardie!” pensò, divertito.
« Ben arrivato » esclamò porgendo il braccio, ma lo straniero si limitò a fissarlo senza accennare a stringergli l’arto.
Gli piacque il coraggio di cui dava mostra.
« Non darmi il benvenuto, non ci resterò a lungo in questo posto! » esclamò il giovane con uno scintillio deciso nello sguardo.
Ciò piacque a Crisso ancora di più.
« Qual è il tuo nome? » tornò a domandare, per niente scoraggiato dai modi scorbutici di quella testa calda.
L’uomo lo fissò a lungo, sembrava indeciso se rispondere o meno. Infine, guardandolo dritto negli occhi: « Io sono Spartaco! » proferì con orgoglio.
Nel 73 a.C. Crisso, Spartaco ed Enomao, alla testa di settanta gladiatori, spezzarono le catene, rifugiandosi sulle pendici del Vesuvio.
Sarah seguì il suo uomo nella sorte che il destino avrebbe loro riservato.
La sfida a Roma era stata lanciata.