di Davide Corvaglia
Il fumo delle sigarette senza filtro aveva riempito l’aria della locanda e celato gran parte dell’arredamento e delle facce di quei pochi avventori rimasti dopo cena, come aveva fatto la nebbia là fuori, che piano piano era salita dal Naviglio fino a nascondere le strade di Milano.
Giovanni saldò la sua razione di vino con le monete raccolte durante la giornata, indossò il suo cappotto sgualcito e con le maniche scucite, infilò i guanti che gli lasciavano scoperta solo la punta delle dita e uscì a preparare il necessario per la notte. Si calò sulle orecchie il berretto di lana e si allontanò dal locale.
Una folata di vento gelido approfittò dell’istante in cui la porta del locale era rimasta aperta per entrare a mescolare l’aria fumosa e insinuarsi tra i tavolini sparsi, fino a raggiungere quello di Luigi e Ambrogio.
« Ecco, finalmente gira a mio favore » disse Luigi, lanciando una delle sue carte sul tavolo, poi si voltò di scatto verso l’ingresso. « Ma che razza di freddo fa stasera, porcaccia di una… »
« Alùra! » lo sgridò Ambrogio, ammiccando e bloccando l’imprecazione sulle labbra dell’amico.
« Questa volta vincerò io, mio bel fiulét. » Gettò un’altra carta sotto lo sguardo divertito dell’avversario. Il rumore sortito fu come lo schiocco di una frusta.
« Oh, certo, l’importante è crederci » rispose Ambrogio, buttando un’altra delle sue.
« Ma no, ma pensa te… lo sapevo! Sei un vecchio farabutto, lo sai? »
« Sfortunato al gioco, fortunato in amore… » disse Ambrogio, raccogliendo le carte.
« Macché amore! » grugnì Luigi. « A ottant’anni non ricordo nemmeno più come si fa. Il tuo proverbio con me non vale una cicca! »
« Dai, non brontolare. I miei proverbi non ce l’hanno mica con te, sei solo scarso a briscola. »
« Non sono io a essere scarso, sei tu che hai un… »
Marta si avvicinò in quel momento, appoggiò un vassoio sul tavolino facendo rumore e porse i bicchieri di vino ai due giocatori. « Ué, vi tengo d’occhio! Smettetela di brontolare o mi fate scappare i clienti. »
« Io brontolo finché non vinco una partita contro questo… fortunello. »
« Ma dai, prima hai vinto! » disse Ambrogio.
« Sì, ma lo hai fatto apposta, brutto furfante. Credi che non me ne sono accorto? »
Ambrogio cominciò a ridere. Marta posò una mano sulla spalla di Luigi e si allontanò. Quest’ultimo l’accompagnò con lo sguardo, poi cominciò a ridere anche lui. « Voglio la rivincita! » disse.
« Domani. Ora mi sa che s’è fatto tardi. Tu vieni via? » chiese Ambrogio.
« No, sto qui ancora un po’. »
« Allora tieni, mettile a posto tu per favore. » Ambrogio allungò le carte all’amico e si alzò dalla sedia, spingendosi su entrambe le braccia. Fece una smorfia, subito trasformata in un orribile sorriso. « Ah, la vecchiaia… l’è ‘na brutta bestia. »
« Già! E una brutta bestia l’è anche la tua fortuna sfacciata… »
« Dai, vedrai che domani andrà meglio. »
« Certo, lo spero, ma prima di morire voglio vincerne una senza aiuti. »
« Prima di morire, che brutte parole. Amis, la vita l’è bela! »
La porta del locale si aprì e di nuovo una folata gelida entrò per sfiorare la schiena di Ambrogio, che ebbe un brivido. Luigi guardò oltre le sue spalle e terminò di allineare le carte senza dire nulla.
« Che hai? » gli chiese l’amico.
« Chel lì me pias minga! »
« Chi? » Ambrogio si girò verso l’entrata, poi si rivolse di nuovo verso l’amico, che infilava il mazzo delle carte nella custodia. « Lascialo stare, Luis. L’è un brau bagaj! »
« L’è un terùn! »
Ambrogio appoggiò entrambi i pugni sul tavolo e si sporse verso l’amico. « Ehi, guardami. Luigi, guardami, ti ho detto! » Attese di incontrare lo sguardo dell’altro, poi continuò: « Non dire più quella parola ad alta voce, in mia presenza. Pensala, se ti pare, ma non dirla. »
« Perché no? »
« Perché è brutta. Perché è un bravo ragazzo e deve piacere a Marta. Di certo non a te. »
« Deve piacere anche a me, Marta è come una nipote. Ricordati che l’ho vista nascere. »
« Se è per questo l’abbiamo vista nascere entrambi, ma io non mi sognerei mai di immischiarmi nelle sue faccende. »
« Guarda, glielo si legge in faccia: Voja da laurà saltum adoss. »
« E sulle sue mani che c’è scritto? Ma per favore, Luis! Su, ora vado… fa’ il bravo, neh? »
« Certo, come sempre. Ricordati la rivincita. »
Ambrogio si avvicinò piano al bancone, porse una moneta a Marta e uscì. Luigi terminò con calma il suo vino, vuotò anche quel poco rimasto nel bicchiere di Ambrogio e se ne andò.
« Accidenti a te, farabutto! »
« Le mie carte erano belle, non te la prendere. »
« Anche le mie lo erano, ma la dannata fortuna bacia solo te. »
« Beh, se la fortuna la tratti così è ovvio che se ne sta alla
larga. »
« Quella vuole essere trattata così. Dai, mischia, che vado a prendere un altro bicchiere. »
« Fanne uno anche per me. »
Luigi si alzò dalla sedia e camminò veloce verso il bancone, vi appoggiò i bicchieri vuoti e i gomiti e rimase a fissare Marta. Era girata di spalle, con una mano teneva un grosso boccale e con l’altra faceva roteare uno straccio all’interno. Si accorse che Luigi era dietro di lei e si voltò con un sorriso. « Sembri un vecchio gufo spione. »
« Beato chi ti prenderà in moglie. »
« Grazie! E credo sappia già quanto è fortunato. » Sorrise.
L’uomo però non rispose e abbassò la testa a fissarsi le mani, strette attorno ai bicchieri vuoti.
« Guarda che lo so che Antonio non ti piace » disse la ragazza. Lanciò lo straccio nel lavello e afferrò la brocca del vino.
« Ma no, è che… »
« Tranquillo, mica ti devi giustificare. Se tu gli dessi una possibilità, però, sono convinta che ci andresti d’accordo. Dovresti conoscere anche i suoi, sono davvero… »
« Tu lo sposerai? »
« Ehm, sì. Penso proprio di sì » rispose Marta, riempiendo i bicchieri.
« Ah, ho capito. Grazie per il vino » disse Luigi, e tornò al tavolo senza dire altro.
« Fatti gli affari tuoi… » sussurrò Ambrogio, quando l’amico si fu seduto di fronte a lui.
« Come dici? »
« Dico che non devi immischiarti negli affari altrui, sennò camperai poco. »
« Io camperò cent’anni! » grugnì Luigi. « Te, piuttosto, hai una brutta cera… »
« È che non dormo molto bene. Sai, i pensieri che ti saltellano sulla fronte quando guardi il buio verso il soffitto. »
« Questa è buona. Comunque, che pensieri, tua figlia? »
« Sì, lei » rispose Ambrogio. Lo sguardo concentrato sulle mani che mescolavano le carte.
« La vedi per le feste? »
« Non lo so ancora. »
« Ma Natale è dopodomani! »
« Mi sa che ti toccherà festeggiare con me, bagaj » disse Ambrogio.
« Ti avverto che sarò di cattivo umore. »
« Che novità… »
« Bah, però com’è crudele la vita… Tiri su una figlia con mille sacrifici, poi incontra l’uomo sbagliato e la perdi » disse Luigi.
« Sì, hai ragione. E so anche a chi ti stai riferendo ma, fidati, Enrico non c’entra nulla con il moroso di Marta. Mio gen… il marito di mia figlia sì, che è l’uomo sbagliato. Non solo per lei, ma per qualunque donna su questa terra. »
« Dai, adesso non ci pensare, fai le carte. Le stai consumando a furia di mescolare. E poi sento che questa è la mia serata. »
Ambrogio non rispose subito. A Luigi parve di vederlo ingoiare qualcosa di grosso che gli aveva tolto il fiato per un momento. « Stai bene? Mi fai preoccupare. »
« Ma no, tranquillo. Una bella dormita e passa tutto. Cià, preparati alla sfida! »
Luigi l’osservò, passando lo sguardo su ogni ruga del viso, poi sorrise e si strofinò le mani. « Questa è la volta buona, lo so. Peccato che non scommettiamo dei soldi, altrimenti dovevi venderti le mutande. »
Ambrogio strizzò un occhio e distribuì le carte.
« Ma quello è sempre qui? »
« Di chi stai parlando? » chiese Matilde. Nelle mani stringeva una tazza fumante.
« Di quello lì, quello che sta con tua sorella » rispose Luigi.
« Ah, Antonio. Certo che è sempre qui, come te e quell’altro del resto. »
« Io e quell’altro, ormai, abbiamo fatto il nostro tempo. Lui, invece, dovrebbe pensare al suo futuro e a quello di tua sorella invece di stare ogni sera qui dentro. »
Matilde posò la tazza e incrociò le braccia al petto. « E cosa ti fa pensare che prima di venire qui non si spacchi la schiena tutto il giorno? »
« Bah, io conosco le persone. E le conosco bene. Mi basta uno sguardo per capire chi ho davanti. »
« Ah, davvero? Diciamo che tu hai una sola opinione, identica per chiunque ti stia davanti » ribatté la ragazza. Si alzò dallo sgabello, si portò alle spalle di Luigi e lo abbracciò. L’uomo appoggiò una mano sulle sue. « Devi stare tranquillo. Marta è grande e vaccinata, ormai. E poi… ti conosciamo da sempre e sappiamo che non sei così burbero come vuoi apparire. »
« Bah, io non sono affatto burbero. Sto solo attento che non vi cacciate nei guai. »
« Oh, ma quali guai ci possono capitare, ancora? Il periodo più brutto lo abbiamo già passato. »
« Già, la guerra. »
« Quindi non dovresti avere paura in tempo di pace, no? »
« Non ho paura, sto solo attento » ripeté.
« Certo, certo. Ah, a proposito… Lo sapevi che Antonio è qui a Milano proprio perché durante la guerra il suo plotone era stato inviato qui da Napoli? »
« Davvero? »
« Proprio così. Noi lo abbiamo conosciuto quando la pace sembrava ancora lontana. Era stato colpito a una spalla dai tedeschi proprio qui fuori e mia sorella gli ha salvato la vita. »
« Non lo sapevo. »
« Non lo sa quasi nessuno. E lui non parla mai della guerra. Preferisce pensare di aver incontrato Marta a teatro o, che ne so, mentre era a Milano come turista. Oppure di essersi innamorato di lei guardandola passeggiare davanti al cantiere in cui lavora lui. »
Luigi non rispose, tolse la mano da quelle di Matilde e si grattò un ginocchio. « Bah, eppure… »
« Vedrai » disse Matilde, rialzandosi. Gli diede una carezza sulla guancia e tornò a sedersi. La tazza aveva smesso di fumare e Matilde la vuotò in pochi piccoli sorsi. « Vedrai, sono convinta che cambierai idea su di lui. Potrei scommetterci. Come sono convinta che vincerai a briscola, prima o poi. Anzi, io dico che cambierai idea su Antonio prima che tu vinca una partita con Ambrogio. »
« Io ce la metto tutta per vincere » ammiccò Luigi, sorridendo. Poi tornò serio e si guardò in giro. « A proposito, ma dov’è fi-
nito? »
« Non lo so. Sei preoccupato? »
« No, no. Solo che… Bah, forse la figlia lo ha invitato almeno stasera che è la vigilia. Niente, lascia stare, eccolo lì! Ué, dov’eri finito? »
Ambrogio entrò nel locale, reggendosi sulla maniglia della porta d’ingresso. Si voltò e la chiuse accompagnandola. Rivolse un sorriso stanco all’amico e si avvicinò lentamente.
« Che cos’ha? » sussurrò Matilde.
« La figlia, i pensieri… Aspetta, Ambrogio, ti do una mano! »
Ambrogio strinse la mano di Luigi fino al loro tavolino. Il mazzo delle carte era lì ad aspettarli nel centro. Il fante di picche osservava la scena in silenzio. Ambrogio iniziò a tossire senza sosta, prima di raggiungere la sedia. Con una mano si reggeva il petto, con l’altra raccoglieva la saliva. In un istante di quiete, si lasciò cadere sulla sedia, sfinito. Estrasse veloce un fazzoletto dalla giacca e si asciugò la bocca e la mano.
« Ti porto dell’acqua? » chiese Luigi.
« No, no, grazie. »
« Sei sicuro? »
« Sì, sì. Non so se riuscirò ad abituarmi mai al fumo che c’è qui dentro » rispose, riponendo il fazzoletto.
« Non ce n’è molto, stasera. Sei sicuro che stai bene? »
« Sì, sì. »
« Non mi sembra una cosa leggera, altrimenti ti dicevo di mettere la maglia di lana. »
Ambrogio si strofinò gli occhi, poi guardò l’amico, sorrise e disse: « Se fossi tuo figlio, Luis, saresti una brava mamma. Allora, vogliamo cominciare? Non credere di potermi battere grazie a un raffreddore! »
« A chi tocca dare le carte? » chiese Luigi, non molto convinto.
« A te, a te. Io vado un attimo in bagno. Non barare, neh? Me ne accorgo. »
« Non baro, tranquillo. Però spicciati, che voglio vincerne una prima di mezzanotte. Non vorrei saltare gli auguri. »
« Un minuto e arrivo. »
Luigi giunse poco dopo l’ora di pranzo alla locanda di Marta con un fagotto in mano. Lo porse all’uomo che, osservandolo in silenzio, sulla soglia della locanda, aveva preso a grattarsi la lunga barba. « Buon Natale, Giovanni! » disse ad alta voce.
« Oh, grazie » rispose Giovanni, accogliendo il fagotto con entrambe le mani. « Come mai tutta questa bontà all’improvviso? Non avrai mica pensato di avvelenarmi, vero? »
« Ho altri modi per uccidere, io » rispose Luigi, sorridendo.
« Comunque, ti ringrazio. Ieri sera alla mensa c’era molta gente e non sono riuscito a rimpinzarmi per bene. »
« Allora questo fa proprio al caso tuo. E puoi conservarlo e mangiarlo quando vuoi. Devi solo stare attento a non fargli prendere aria, poi sarà buono anche tra una settimana. »
« E da quand’è che fai il pane? »
« Da ragazzo ho lavorato per anni al forno che c’era in Ticinese, e stamattina mi è venuta voglia di un po’ di passato. »
« Hai fatto bene. »
Luigi diede una pacca sulla schiena di Giovanni ed entrò. Fece gli auguri a tutti, come se non li vedesse da molto tempo, poi si accorse che il loro tavolino era vuoto. « E Ambrogio? »
Marta si strinse nelle spalle, e continuò ad asciugare i bicchieri. Antonio, che era seduto su uno degli sgabelli del bancone, gli offrì un sorriso e disse: « Ieri sera avete fatto tardi assai… Sicuro ca chill’ sta ancor’ a durmì. »
« Ma no, ha detto che veniva presto! » rispose Luigi, poi uscì di nuovo, si sollevò il bavero e guardò lungo la strada, nella direzione da cui l’amico sarebbe arrivato. Era caduta un po’ di neve, durante la notte, e gran parte era già congelata. Forse Ambrogio stava facendo fatica a camminare, cercando di evitare le lastre di ghiaccio, pensò. Allungò il collo, strinse gli occhi per vedere un po’ più lontano, poi rientrò.
« È strano. »
« Sedetevi, intanto » disse Antonio. « Se lo aspettate in piedi non cambia niente. Vedrete che arriva presto. »
« Bah! » Luigi si tolse il cappotto e si sedette. Tenne a lungo i gomiti appoggiati al tavolino, la faccia immersa nelle mani rugose e lo sguardo rivolto verso il mazzo di carte. Questa volta era il re di quadri a sormontare tutte le altre.
Forse sua figlia, alla fine, aveva deciso di invitarlo a pranzo e non era riuscito ad avvisarlo. Forse teneva la nipotina in braccio, o l’aveva fatta sedere sulle ginocchia e la stava facendo dondolare. Sì, di sicuro era lì e stava passando una bella giornata con la sua famiglia. Se lo meritava, in fin dei conti, anche se era maledettamente bravo e fortunato a briscola. E, forse, era tanto bravo anche come padre e come nonno. Ma era bastato un genero sbagliato, e tutta quella bravura era andata a farsi benedire. Forse faceva bene lui, invece, che non si fidava di nessuno, tranne di quei pochi che la fiducia se l’erano guadagnata nel tempo.
Senza accorgersene, aveva posato lo sguardo sulla schiena di Antonio. E sapeva che a quel tizio non avrebbe mai dato la sua fiducia, anche se tutti gli suggerivano il contrario. Perché lui le persone le conosceva bene. Ah, se le conosceva bene!
Il re di quadri, in cima al mazzo, sembrava dargli ragione.
La porta del bar si aprì all’improvviso. Ambrogio, avvolto in una grossa sciarpa di lana che gli copriva il volto fino al naso, entrò lentamente. Richiuse la porta accompagnandola e andò a sedersi di fronte a Luigi. Sospirò un momento, con gli occhi chiusi, poi si tolse la sciarpa e il cappotto e li lasciò cadere sulla sedia accanto.
« Come stai? » chiese Luigi.
« Bene, bene. Tanti auguri, neh? »
« Hai una bruttissima cera, perché non sei rimasto a casa? »
« Oggi è Natale, non si sta a casa. E poi dovevo farti gli auguri, no? »
« Va beh, ce li siamo fatti ieri sera. »
« Sono passato da Lucia… »
« Immaginavo che eri andato lì, e la piccolina come sta? »
« Ah, non lo so. Non mi ha fatto entrare. »
« In che senso? »
« Nel senso che mia figlia mi ha dato il buon Natale sulla soglia. Mi ha stretto la mano, un bacio veloce e mi ha detto solo auguri. Poi è scappata dentro. Non ho nemmeno avuto il tempo di dire anche a te. »
« Poteva almeno farti salutare la bambina, no? »
« Che ci vuoi fare? Comunque l’ho intravista. Si è affacciata alla finestra, e forse mi ha fatto ciao con la manina. Poi si è voltata di scatto ed è corsa via anche lei. »
« Io avrei sfondato la porta e preso a calci quel farabutto. »
« Anche io, poi però me ne sono andato. »
« Bah, se avevo vent’anni di meno, adesso andavo lì al posto tuo. »
« Grazie, ma anche se avessi vent’anni di meno non cambierebbe niente. »
« Bah, questo lo dici tu. »
« Ma sì, non importa » disse Ambrogio. « Hai già ordinato? Oggi offro io. »
« No, non ancora. »
« Credo che Marta ci abbia sentito, sta arrivando coi bicchieri. Fai carte tu? »
« Se hai voglia di giocare. Se no… »
« Certo, bagaj, io continuerò a giocare anche dopo la morte. Quando incontrerò San Pietro lo sfiderò a briscola. »
« Questa è buona! » rise Luigi. « Solo che… sei sicuro che il tuo posto sarà il paradiso? »
« Per forza! Non credo che esista l’inferno, o un posto peggiore di quello in cui ho passato gli ultimi ottant’anni, no? »
« Bah, forse hai ragione. Anche perché all’inferno sarebbe difficile vincere, con tutti i bari che ci troveresti. »
« Ah, per carità! Già ho te, qui, e devo stare attento che non mi freghi. Con tutta quella smania che hai di battermi. »
« Sento che Gesù bambino oggi mi farà avere le carte giuste! » disse Luigi, drizzando e dondolando la schiena.
« E Gesù bambino ti ha fatto cambiare idea su Antonio? » disse Ambrogio, strizzando l’occhio.
« Bah, credo che il Signore per quello dovrà impegnarsi di più. »
« Eppure io credo che tu cambierai idea prima che io riesca a perdere. »
« Me l’ha detto anche Matilde, ma io non ci credo. Dai, taglia! »
Luigi fece tagliare il mazzo ad Ambrogio, gli porse tre carte e tre carte le appoggiò davanti a sé. Poi mise una carta rivolta verso l’alto, accanto al mazzo: il re di quadri. « Mi porterai fortuna, vecchio mio. »
« Come dici? »
« No, niente » rispose Luigi. « Parlavo da solo. »
« Oh, Signùr! »
Luigi cominciò ad accumulare punti come non gli accadeva più da molto tempo. Questa volta sembrava davvero la sua partita e ogni carta buttata sul tavolino era scelta da qualcuno, lassù. Teneva d’occhio il suo avversario a ogni giocata: gli pareva che stesse meglio rispetto a poco prima. Si umettò le labbra, tese in un sorriso, e dovette tenere a freno le mani, che volevano gettare anzitempo le carte sul tavolo per accelerare la vittoria. Gli occhi spalancati guizzavano ovunque. Ancora poche giocate e avrebbe offerto da bere a tutti.
Stava per dirlo ad alta voce, ma le parole rimasero bloccate in fondo alla gola. Le carte che gli caddero dalle dita fecero meno rumore della testa di Ambrogio che era crollata in avanti, la fronte contro il legno. Ambrogio aveva smesso di respirare.
« Presto, chiamate un dottore! »
Antonio si alzò, raccolse al volo la giacca che gli aveva lanciato Marta e si fiondò fuori. Il rombo della sua motocicletta che si allontanava veloce. Marta raggiunse Luigi, che aveva adagiato a terra l’amico con un enorme sforzo e l’aveva voltato con la faccia verso l’alto.
« Respira? »
« Non lo so! »
« Sentigli il cuore. »
« Non lo so, non lo so! »
Marta spinse di lato Luigi e appoggiò un orecchio sul petto di Ambrogio. Scosse la testa.
« Dobbiamo fare qualcosa! » le urlò l’uomo.
« Antonio è andato a chiamare aiuto. Ambrogio! Ambrogio! »
« Dai, dai… svegliati, vecchio zoticone! »
Ma Ambrogio non si svegliò. L’ambulanza arrivò qualche minuto più tardi. Antonio, alcuni avventori e gli infermieri lo trasportarono all’interno del furgoncino, che si allontanò veloce in direzione dell’ospedale.
« Voglio andare con lui! »
« Venite, Luigi, vi do un passaggio io » disse Antonio. Lo afferrò per un gomito e lo tirò verso la sua motocicletta, che aveva ancora il motore acceso.
« Allora? Non fatemi stare in pensiero » disse Marta, non appena vide entrare Antonio e Luigi.
« Sì, come sta? » chiese Matilde, che le stringeva la mano.
Il ragazzo si tolse la giacca e si lasciò cadere su uno degli sgabelli. « Non ce l’ha fatta, poveretto » disse.
« No! » Marta corse nel retro, e prima di sparire aveva portato lo straccio contro il viso.
« Vado io » sussurrò Matilde, si alzò dalla sedia e superò il bancone del bar.
Luigi si sedette al suo tavolino. Le carte erano ancora disposte così come le avevano lasciate ore prima. Le fissò a lungo. Stava vincendo la partita, ma aveva perso qualcosa di molto più importante. Il bicchiere di Ambrogio conteneva ancora del vino. Luigi soffermò lo sguardo sull’alone lasciato dalle labbra dell’amico sul bordo.
Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla. Era Antonio.
« Grazie, bagaj. »
« Dovere! »
« Sai, stavo per vincere. Quel farabutto l’ha fatta franca. » Cercò invano un sorriso.
« Io, una volta, ho vinto contr’ a iss. »
« Davvero? Ti avrà fatto vincere lui. »
« No, no. Io sono bravo a briscola. La buon’anima di mio padre m’ha insegnato tanti anni fa. »
« E Ambrogio cos’ha detto quando ha perso? »
« Ha detto che non avrebbe mai più giocato con me. »
« Ah, ecco. Avrebbe detto la stessa cosa anche oggi, allora, quel farabutto. »
« Può essere. »
« Era la mia partita migliore. » Si strofinò gli occhi con il dorso della mano.
« Se volete, possiamo ancora finirla. Se battete me, è come se battete chill’ fetent’. »
« Va bene, giovanotto, vediamo come giochi, ma ti avverto: io sono piuttosto bravino. »