di Rosaria Iodice
Da quando Rainero, il demone, si era risvegliato dal suo lungo sonno, nessuno osava più addentrarsi nel folto del bosco. I taglialegna si assopivano ai margini della boscaglia, attendendo che si rintanasse nuovamente in quell’anfratto scavato nella roccia, ritenuto da sempre sua eterna dimora. Con il trascorrere dei giorni, tuttavia, la speranza si era ridotta a una flebile fiammella pronta a spegnersi da un momento all’altro.
Ogni volta che il fruscio delle foglie si confondeva con quel sibilo sinistro che si levava tra gli alberi, la paura serpeggiava tra gli abitanti di Bocco.
A Zanella si ricorreva nei casi disperati, quando né i preti né la legge avevano il potere di sbrogliare le matasse più intricate. Si raccontava che sotto il suo frusciante mantello nero nascondesse code di rospo e di lucertole legate in vita con una cintola di corda. Nessuno le aveva mai viste, ma tutti erano pronti a giurare che fosse vero.
Era già l’imbrunire quando apparve dalle tenebre del bosco, in quel tratto dove la vegetazione diventava più folta. I versi striduli delle cornacchie, appollaiate sui rami più alti di una vecchia quercia, risuonarono nel silenzio.
« Benvenuto, Zanella » lo salutò il Capo dei taglialegna, sentendo il suo respiro pesante mentre rimestava con un bastone in una pentola sul fuoco.
« Non fate così, non sono abituato alle buone maniere. »
L’uomo barbuto, con lo sguardo accigliato, fece un segno in direzione della boscaglia.
« Neppure lui a quanto pare, il bosco è diventato un luogo pericoloso. »
Zanella sogghignò.
« Se voi pensate che il mondo sia pericoloso, il mondo diventerà davvero pericoloso. »
L’uomo lo guardò perplesso. Tremava al solo pensiero delle tante notti in cui era rimasto sveglio, incapace com’era di tenere a bada la paura.
« Conosco la temerarietà delle vostre imprese e anche come amate sfidare le forze dell’occulto, ma questa volta non sarà facile neanche per uno come voi…quello è un demonio come si conviene! »
Zanella lo guardò stregato puntandogli il dito contro.
« C’è una cosa che dovete assolutamente sapere. Non c’è alleato più prezioso di un demone. »
Il Capo dei Taglialegna scosse la testa più volte.
« Sragionate, e se vi sentisse qualcuno di bocca buona con le prediche, potreste anche finire male. »
« Non c’è sfida più nobile e vera di quella che compiamo affrontando le nostre paure, per cui i vostri inviti alla prudenza sono inutili. »
« Questa volta non ce la farete a tornare indietro. »
Un vento gelido si alzò di colpo, lasciando frusciare sinistramente arbusti e foglie. Il Capo dei Taglialegna restò immobile cercando di scacciare il terrore. Gli sembrava che il vento conducesse con sé quel lugubre ritornello che ormai sentiva da troppe notti, tanto da non riuscire a contarle più.
« Sentite?! » disse puntando il dito in direzione dei cespugli. « È lui!. »
Zanella lo fissò negli occhi, come se fosse capace di leggere l’intensità dei suoi pensieri.
« Ora devo andare. »
L’uomo lo vide risalire senza fretta il lungo sentiero che conduceva nel folto del bosco, senza che mai una volta si voltasse indietro.
Zanella al suo ritorno si presentò sulla piazza esibendo un corno caprino stretto nel pugno.
« Il demonio vuole scendere a patti » rivelò al capannello di gente che pendeva dalle sue labbra, come assetati che aspettano di raccogliere l’unica goccia d’acqua dalla borraccia. « Se ne andrà a due sole condizioni, che uno di voi accetti di guardarlo in volto in una notte di plenilunio o che saziate la sua avidità. »
Un contadino poveramente vestito di stracci con un forcone stretto in pugno si fece largo tra la folla.
« Io non ho nulla da dare, soltanto un vecchio albero di melo. »
Zanella sorrise sotto il baffo.
« Bene, darete quello, se avete detto la verità. »
Nei giorni successivi sulla piazza del paese fu portato ogni ben di dio. Gioielli, sacchi di carrube, marionette dismesse dai teatri, abiti da festa, vecchi libri polverosi, un mappamondo, gabbie per polli, e molto altro. Zanella aveva contato tutto vergando un foglio, standosene su uno scranno di legno come un banditore di altri tempi.
Poi alla fine della conta ad alta voce sentenziò:
« Popolo di Bocco, andrò dal diavolo dicendogli che avete donato ciò che di più prezioso avete e che quindi il patto è stato rispettato. »
Tra la folla si alzò un sommesso brusio. Gli asini ragliarono all’unisono. I tamburi rullarono. Zanella non aggiunse neanche una parola. Si avvolse nel suo mantello e si avviò verso il lungo tratto che conduceva al bosco.
Tornò dopo due giorni. I boccaccesi si erano radunati in piazza, la stessa, dove secoli addietro erano state bruciati gli eretici e le streghe. Il carico di roba era ancora lì. Ed erano in molti a chiedersene la ragione.
« Rainero, il demone dei boschi, mi ha riferito che avete rinunciato non alla cosa più preziosa, ma a quella di cui desideravate disfarvi. Sappiate che a nessun diavolo piace esser preso per il naso in siffatta maniera, per cui ora le condizioni sono cambiate e in peggio. »
« Zanella, perbacco! » esclamò il Capo dei Gendarmi. « Mi deludete. Siete noto per le vostre doti di negromante e mago, dovete mandarlo via, non intavolare una trattativa con lui che è il nostro nemico! »
Zanella lo fissò con occhi di braci. L’uomo arretrò di due passi pentendosi di averlo sfidato così.
« Voi pensate di sapere il mestiere mio? Bene, allora accomodatevi pure e fate come si conviene. Non si può obbligare un diavolo per diavolo che sia ad allontanarsi a piacimento, si può solo scendere a patti con lui. Dovreste saperlo. Rainero vi chiede di donare le cose più preziose che avete, oppure che qualcuno di voi sfidi il buio e si rechi nella sua dimora nel bosco in una notte di plenilunio. Dunque avete due possibilità, scegliete! »
Il giorno dopo sulla piazza la catasta aumentò. Le case divennero spoglie e disadorne; nessuno aveva lesinato su ciò che di più caro avesse.
« Non abbiamo alternative » si rincuoravano l’un l’altro, scuotendo il capo, ogni volta che un oggetto veniva riposto.
Nella casa della filatrice le cose tuttavia andarono in maniera diversa. Marta aveva deciso di rinunciare a tutto tranne a quella vecchia fotografia ingiallita. Cosa se ne faceva un diavolo di una cosa così? Era l’unica immagine che le restava del marito, risaliva a ben dieci anni prima quando il fiume se l’era portato via. Quel maledetto giorno non aveva esitato a gettarsi dall’alto del ponte quando aveva visto quel capo perdersi nelle acque del fiume. Ma era stato un gesto inutile. Erano periti lui e il bambino trascinati via dalla furia del fiume in piena. Filippo era stato un uomo coraggioso e i tesori del suo cuore non erano sfioriti con l’intercedere del tempo come molte altre cose nella sua casa.
« Una vita senza coraggio, è una vita senza cuore » amava ricordarle. Non aveva mai compreso fino in fondo quelle parole. Che se ne fa uno del coraggio se poi alla fine non riesce a difendere la propria vita? Aveva trascorso quegli anni con il capo chino sull’arcolaio, e ogni volta che il dolore diventava troppo forte filava le matasse di lana con il fuso fino a sfinirsi. Ma ora quel diavolo voleva prendersi anche quel poco che le era rimasto. La vita era stramba per davvero. Che ci faceva un diavolo nei boschi? E chi e cosa l’avevano risvegliato dal suo lungo sonno? Ripose la foto sul cassettone della camera da letto, guardò il quadro dei santi sulla parete e si rese conto di una sola cosa. Che era stanca di vivere pensando che la vita potesse sottrarle un altro tassello. Decise che aveva già dato tanto ai demoni che erano nella sua testa. I conti erano chiusi. Con loro non era più in debito.
Zanella aveva per l’ennesima volta fatto l’inventario di tutto quello che il paese aveva donato pur di saziare la bramosia del demone. I boccaccesi si erano spogliati di tutto. Rise di gusto. Nessuno aveva avuto l’ardire di sottrarsi al demonio, pur illudendosi, nel dare ciò che ritenevano più prezioso, di fare esattamente il contrario.
Sapeva bene che nessuno di loro avrebbe mai preso in considerazione l’ipotesi di sfidare le tenebre per incontrare il diavolo. Un paese dove allignava la diffidenza assoluta, dove la gente si chiudeva in casa al semplice passaggio del vento, che speranza aveva di sopravvivere a se stesso e alle proprie paure? Raggiunse il bosco e per una volta gli sembrò di vederlo per quello che era. Un luogo magico, dove le anime degli antenati gridavano le loro storie. Storie di guerrieri che si erano sfidati in nome di un ideale, perdendo le loro vite per realizzarlo. In realtà senza saperlo si erano piegati ai loro demoni personali, sfidando la morte che si erano illusi di sconfiggere in altre battaglie infliggendo la spada nel petto del loro nemico. Rifletté a lungo sulla sua vita di viandante. Quei poteri che tutti gli riconoscevano non erano altro che la capacità di vedere oltre, dove gli altri invece si arrendevano. Non c’era nulla di male che il diavolo abitasse il bosco. C’è un diavolo in ogni cosa, nel giorno e nella notte, nella pace e nella guerra, in una stretta di mano e nella stretta che ti uccide. Senza i demoni il mondo non avrebbe senso. Nessuno mai si appassionerebbe alle ombre del bosco, se non sapesse che esse si arrenderanno al giungere dei primi raggi del mattino. Ma questo era assai difficile spiegarlo ai poveri abitanti di Bocco. Camminò a passo svelto fino a giungere nel cuore nero del bosco. E lo vide lì, isolato tra i cespugli. Per un attimo il cuore gli batté tanto forte da pensare di morire, poi però gli bastò pensare che era una creatura come un’altra. E che anche lui aveva fame. Fame di vita.
« Io non capisco » sbottò il Signor Curato. « Ho accettato che vi occupaste di questo caso, pur ritenendolo contrario al Dio che servo sull’altare, per il bene di tutti. E ora voi, proprio voi, che siete noto per sbrigarvela con le vicende dell’occulto, e dopo che l’intero paese è rimasto povero e derelitto, ci dite che il diavolo non è ancora contento? Zanella, voi state rischiando la scomunica e l’arresto. Smettete di raccontarci le vostre corbellerie. »
Il Curato non sapeva che l’uomo contro cui si batteva non aveva paura di niente.
Zanella fece frusciare il suo mantello nero, piroettò su se stesso, dando le spalle alla piazza con un gesto teatrale.
« Va bene, me ne vado via, riprendetevi pure le vostre cose, codardi e incoscienti che siete. Dirò al diavolo che avete provato a imbrogliarlo. »
Un silenzio gelido e ostile scese sulla piazza.
« Signor Curato, signori tutti » esclamò una voce che giungeva da lontano « lo sfido io questo demone che tanto vi fa paura! »
Tutti si voltarono con i visi pieni di stupore.
La filatrice avanzò con passo deciso, stretta nel suo scialle.
« Zanella dice il vero. Perché proprio io sono venuta meno al patto. Ho deciso di non rinunciare a ciò che di più prezioso custodisco nella mia vita. »
L’intera piazza emise un sussulto, un brusio minaccioso si levò tra i capannelli di gente. Lo stupore bloccò i loro sguardi, i loro gesti, come se tutto fosse congelato in un momento preciso.
« Dunque siete voi che ci state procurando tali disgrazie! » sentenziò il capo delle Guardie.
« Ebbene sì » ammise la donna con fierezza, « e sappiate che non sarà per far contento un diavolo che rinuncerò a ciò che è custodito sul mio cuore. »
« Ecco, lo sapevo, per qualche oggetto di valore si manda al diavolo un intero paese! » si levò una voce tra la folla urlante.
Zanella era esterrefatto.
Per giorni interi in tanti si recarono alla casa della filatrice, sperando che svelasse l’arcano e che cedesse quello che di prezioso era custodito sul suo cuore. Ma la donna non demordeva. Così era e così doveva essere. Il malcontento serpeggiò per l’intero borgo. Quella pazza stava mettendo a rischio la vita di tutti, per una sciocchezza. Come minimo meritava di essere messa in galera. Nonostante tutto Zanella aveva redarguito chiunque a torcere un sol capello alla donna, a meno di non voler scatenare la sua ira e le forze occulte del male.
Nessuno aveva capito perché la difendesse così, ma l’esibizione in pubblico del corno caprino del diavolo era stato motivo sufficiente perché tutti indistintamente si erano convinti che, in quanto negromante, avesse il potere di parlare con i diavoli. E a nessuno andava che Rainero potesse decidere di traslocare in una delle loro case. Per cui si cercava di giungere a una soluzione con il convincimento. Furono in tanti a provarci, ma inutilmente. Il segreto tesoro della donna restava lì, misterioso e minaccioso, come soltanto le cose invisibili sanno esserlo. Passarono giorni e giorni in cui si tentò di far desistere la vedova dai suoi propositi, ma a nulla servì. Né l’ordine del Capo delle Guardie né le prediche del Curato, e neppure le parole imploranti dei tanti che andarono a trovarla, sperando di convincerla che da lei e soltanto da lei dipendeva il futuro di Bocco.
Donna Marta, più li vedeva pregare, battersi il petto e disperarsi sotto i suoi occhi, più ostentava fierezza e risoluzione. Voltava i suoi occhi cerulei lanciando il suo sguardo oltre la finestra, oltre le miserie umane che così vedeva rappresentate dinanzi a lei, nella casa del suo Filippo.
Zanella si rese conto, con il trascorrere dei giorni, che bastava così poco per accendere la fantasia della gente. Tutti si erano convinti che quello che la donna serbava sul suo cuore, e a cui non avrebbe rinunciato per alcun motivo, fosse un oggetto prezioso, tempestato di diademi, giuntole chissà da dove, addirittura si vociferava che fosse una reliquia di un santo. Qualunque cosa fosse, era poco importante saperlo. Quello che la rendeva unica e speciale ai suoi occhi era quel suo gesto di ribellione con cui era riuscita, di colpo, a spostare l’attenzione dalla codardia dei tanti al coraggio di una, una soltanto. Si opponeva con tutte le sue forze a quello che tutti credevano giusto e che invece a lei appariva semplicemente assurdo. Bastava semplicemente spostare lo sguardo perché la realtà cambiasse colori. Zanella lo sapeva bene, tanto che anche lui tratteneva sul petto qualcosa di inconsueto. Un segreto. Perché a volte agli sciocchi e agli stolti è meglio non dir niente. Il piombo per trasformarsi in oro ha bisogno di fondere alle alte temperature. Mai il sole di Bocco era stato più caldo come in quelle giornate. Anche il vento si era chetato, all’improvviso, come non era accaduto mai.
La paura che aveva del buio e della notte, non erano certo svaniti. Marta aveva per anni vissuto tenendo una candela accesa sul comò della camera da letto, sin da quel giorno in cui Filippo era uscito di casa senza tornare più. Una di quelle sere si era messa a tremare, smarrita, con l’anima in subbuglio, pensando a quanto fosse riuscita ad apparire forte e temeraria, mentre invece si sarebbe rifugiata volentieri in un anfratto segreto a dire le sue preghiere. Ma le cose erano cambiate e lei era cambiata con loro. Sapeva che ormai non si poteva più tornare indietro, e che l’unico modo per andare avanti era sfidare il diavolo accettando di vederlo in volto. Era già sera quando guardò il cielo e si accorse che il plenilunio di lì a qualche giorno sarebbe stato concepito. Avrebbe dovuto parlare con Zanella, spiegargli perché aveva fatto quella scelta. Una persona senza il ricordo è una persona senza storia, un libro senza pagine, una vita vuota di immagini. Perché se il filo della storia non si dipana, rimane fermo nella sua fissità svuotandosi del senso del racconto, che ogni vita insegue con il dito puntato sull’orizzonte cercando di cogliere l’infinito e tradurlo in azioni e parole. Il giorno dopo si recò da Zanella. Andò a cercarlo nelle campagne, dove sapeva amava rifugiarsi. Sfidare la sua solitudine era un’impresa da matti. Nessuno si sarebbe mai sognato di avvicinare quell’uomo, noto per le sua capacità magiche e per quegli occhi di braci capaci di impressionare chiunque altro. Ma non lei. Aveva colto in quei giorni un bagliore luminoso e a tratti anche lui le era sembrato umano e vulnerabile. Ma non avrebbe saputo dirne il motivo. Il mondo dell’invisibile non ha prove tangibili attraverso cui manifestarsi. Nessuno potrebbe raccogliere un’emozione come si fa con una farfalla, ma chiunque conosca il potere del proprio cuore sa come fare a riconoscerle e decifrarle. Davvero gli abitanti di Bocco pensavano di proteggersi dal diavolo tenendo chiuse porte e finestre? Lei non lo credeva ed è per questo che aveva accettato quella sfida. Se avesse fatto come tutti avrebbe chiuso in casa con sé proprio colui che si illudeva di tener fuori. Si sa che nessuno ne sa una più del diavolo, a meno che non si ragioni con il cuore. Il cuore è l’unico che sa come fare ad aggirarlo.
Zanella era steso di fianco per terra, immerso nel silenzio. I suoi passi lo risvegliarono dal suo assopimento.
« Perbacco! » esclamò nel trovarsela di fronte e mettendosi il cappello in testa.
Marta si accorse che l’uomo, senza il suo mantello nero, sembrava diverso. Un uomo come tanti, che nello sguardo aveva qualcosa di strano, un amaro riverbero di qualcosa che gli sembrava di conoscere bene e a cui, tuttavia, non seppe dare un nome. Si mordeva il labbro nell’attesa che l’uomo le concedesse la parola, quasi come se le si spezzasse il cuore nel vederlo così umano. Zanella si schiarì la voce, si alzò con un balzo e avvoltosi nel suo mantello ritornò a essere la figura imponente e minacciosa che tutti conoscevano.
Marta poggiò a terra la cesta, ne cavò una foto annodata in un fazzoletto e la mostrò.
« Mi sono rimaste poche cose ancora, cose a cui mi aggrappo quotidianamente per sopravvivere al mio dolore » disse trattenendosi dal piangere. « Non sono mai stata una donna coraggiosa, per anni sono rimasta a chiedermi perché la vita fosse così ingenerosa. Ma soltanto ora ho capito che il dramma della vita è l’essenza della vita stessa. So però che non voglio ancora vivere del mio niente per tanto tempo e se fosse vivo il mio Filippo sarebbe fiera di me nel sapere che sto per fare quel che farò. »
A Zanella non ci volle molto per capire le sue intenzioni. Per quanto incredibile gli potesse apparire tutta quella vicenda, era incappato nell’unica ipotesi che non aveva mai preso in considerazione. Trovare una persona che accettasse di sfidare la paura e incontrare Rainero nella sua dimora. Di colpo vide sgretolare le sue certezze. Per la prima volta ebbe paura che il suo segreto fosse svelato per sempre.
Bocco era un paesello tra i monti, dove la gente fuggiva dal grigiore quotidiano, credendo in storie e leggende, di cui Zanella era a conoscenza, perché erano le stesse che erano state narrate a lui quand’era bambino e a qualsiasi altro piccino nato in quella contrada. Se Bocco non avesse avuto le sue storie inventate sarebbe semplicemente imploso con la sua noia e invece resisteva per questa sua capacità di trovare una spiegazione a ogni cosa, confidando nel potere del misterioso. Era così che Zanella era riuscito ad aver gioco facile e a fare di sé un personaggio temuto e rispettato. Gli era bastato far leva sulle paure, sul loro immaginario, e utilizzare le scoperte nel campo dell’occulto per diventare quella figura temuta che era. Pensava queste cose, quando vide un passero sbattere sulla finestra e pensò che era giunto il momento. Credeva in segnali e coincidenze. Senza sapere né perché né per come aveva accettato di portare la filatrice con sé nel bosco a incontrare il demonio e ora attendevano che il cielo concepisse il buio, e la luna spuntasse in cielo, tonda e piena.
« Andiamo! » le disse mentre si apprestavano a sfidare il freddo della notte e il buio della strada. I taglialegna nel vederli passare nella casupola in legno al limitare del bosco, dove trascorrevano la notte, non ebbero neanche il coraggio di affacciarsi. Era una notte di plenilunio e si sa che i diavoli sono ancor più spaventosi in notti come quelle.
Zanella faceva strada, la donna lo seguiva senza dire nemmeno una parola.
Si era creata tra loro una complicità misteriosa.
Giunsero in un tratto in cui la vegetazione diventava così fitta da costringerli a piegarsi o a camminare a carponi. Lo scricchiolio delle foglie e i rami secchi sotto i loro piedi li accompagnava come se qualcuno seguisse i loro passi. Ogni tanto dovevano respingere rami, arbusti e rovi per farsi largo.
« Ecco » disse Zanella nel giungere in un tratto dove il verde diventava più prossimo al nero spostando le fronde di un ramo che si parava dinanzi ai loro occhi riducendo la visuale, « tra poco comparirà lì, proprio lì in quel punto. »
Marta annuì con il capo, il cuore le batteva forte per la paura.
Stava per dire qualcosa quando Zanella la zittì.
« Sssst silenzio, stasera siamo fortunati, è già qui » disse portandosi un dito alla bocca.
Giunse da lontano qualcosa di simile a un ululato. Marta lo vide e trasecolò.
« Ogni notte arriva qui e compie il solito rituale. Si avvicina a quella carcassa di animale e resta a mugolare per ore »
La donna non credeva ai suoi occhi, la scena a cui assisteva era qualcosa di innaturale e magnifico. Un lupo, un bellissimo lupo dal pelo fulvo e grigio, continuava a girare in tondo e a emettere il suo lamento. »
« Viene qui ogni notte, è un lupo giovane e quella doveva essere la lupa del suo branco con cui amava accompagnarsi. Non sono mai riuscito a capire come una bestia ritenuta feroce possa concepire un sentimento così umano. A volte per scansare un male ci si imbatte in un altro ancor maggiore, e così gli abitanti di Bocco hanno preferito rinunciare a tutto, piuttosto che spingersi a sfidare le tenebre e conoscere la verità. Una verità bellissima, una storia d’amore, il demone in assoluto che più spaventa gli uomini. »
Marta prese a piangere, provò un’emozione fortissima, le parole non le uscivano, i singhiozzi le bloccavano il respiro.
« Conosco cosa significa vivere dovendo rinunciare all’amore » riuscì a dire tra le lacrime. « Molti anni fa ho perso mio marito. Filippo è morto per un gesto nobile. Ha cercato di salvare un bambino dalla furia del fiume e sono periti entrambi. Senza amore non siamo niente, vaghiamo nei boschi e nel buio proprio come quel lupo. Io so bene cosa si prova, forse proprio per questo ho accettato questa sfida. Perché non avevo più nulla da perdere. »
Zanella sentì mancarsi nelle gambe. Ma non lo diede a vedere. Per un istante, un solo istante, ebbe la sensazione che il muro che così pazientemente aveva costruito da anni dentro di sé potesse davvero sgretolarsi e rivelare la sua vera identità.
Quella storia la conosceva bene, era la sua storia. Suo figlio quel giorno era andato con la sua canna a pescare le trote. Non era riuscito a impedirglielo, ma mai avrebbe immaginato che quel cielo gravido e livido preannunciasse un imminente temporale. I bambini non concepiscono la paura, perché conservano il recente ricordo dell’eternità da cui sono stati concepiti. E così Biagio, con l’incoscienza della sua acerba età, aveva sfidato il suo compagno di giochi a chi prendeva più trote mentre scendeva giù acqua a catinelle. Erano passati sulle isolette di massi lisci sparsi nel fiume, saltando da un sasso bagnato all’altro, poi aveva perso l’equilibrio e le acque gelide del fiume lo avevano ingoiato. Lui l’aveva saputo troppo tardi. Quando si era accorto che mancava da casa da troppo tempo, l’aveva cercato per ore trovandolo soltanto su quella riva melmosa dell’ansa del fiume. I corpi di un uomo sconosciuto e di suo figlio giacevano inermi l’uno a fianco all’altro sul greto di sabbia. I taglialegna li avevano trovati riversi su un tronco che galleggiava sul fiume. Nel vedere il suo bambino senza vita, ebbe la sensazione di avere nella testa un nugolo di api impazzite. Il dolore lo assalì al punto tale da renderlo inerme e a rifiutare il sapore agrodolce della vita. Con il tempo si era convinto che ci potesse essere un modo per strappare alle forze della morte Biagio e riportarlo in vita. Aveva perso il senno e la ragione e persino la moglie si era rassegnata a lasciarlo al suo destino. Ognuno chiuso nel suo dolore. Aveva così studiato sui libri dell’occulto, formule magiche, strane alchimie. Alla fine si era arreso. La formula sconosciuta della vita non l’aveva trovata da nessuna parte. Dunque non aveva alternative. Poteva soltanto vivere sfidando il mistero della vita, nella speranza di ritrovare un giorno quel maledetto senso che aveva smarrito. Così si era inventato quella vita. Una vita di espedienti e di vagabondaggi cercando di ricostruirsi un’identità. Per anni si era rifugiato nei boschi. Poi era tornato, e tutti gli avevano creduto che avesse la capacità di parlare con i diavoli e con le forze oscure. E ora il tempo sembrava portarlo all’indietro e per una strana coincidenza il cerchio della sua vita stava chiudendosi proprio lì, nel folto del bosco, con la donna che custodiva una parte della sua storia, e che ora, per una beffa del destino, era giunta tra le sue mani, per quello che era soltanto uno scherzo ordito bene ai danni dei boccaccesi, famosi per la codardia e per l’incapacità di affrontare la realtà. Per chi non è capace di scrivere la propria storia, è facile subire il fascino di quelle raccontate da altri.
« Perché dunque avete taciuto la verità? »
Zanella si tolse il cappello a larghe falde dal capo.
« Perché non sempre chi si interroga cerca la verità e perché è più facile pensare a un demone che si annida nel bosco che a un lupo che non dimentica l’amore. L’amore, il vero amore, si rivela soltanto a chi non ha paura di guardare in volto la vita. In un paese di pavidi l’amore muore lentamente, a goccia a goccia, nel silenzio. »
La filatrice guardò quell’uomo, ed ebbe come la sensazione che gli tacesse molte più cose. Ma non trovò il coraggio di chiedergli niente. La parola amore era stata sufficiente per ricordarle il motivo per cui era lì.
Zanella le voltò le spalle chiedendole di seguirlo.
« Non rivelerete il mio segreto, vero? »
La donna lasciò dondolare il capo.
« Non accadrà mai, ve lo giuro, non potrei mai tradire l’uomo che mi ha regalato un giorno unico. »
Zanella si calcò il cappello sulla testa, coprendosi lo sguardo. Prese a piangere le sue lacrime silenziose, e per un istante ebbe il timore che la donna potesse udirlo.
Marta se ne accorse, avrebbe potuto dirgli molte cose. Ma non lo fece.
Zittì e trattenne per lei quell’attimo di infinita bellezza, vissuto nel folto di un bosco, in una notte di plenilunio, dove aveva riavvertito il segreto fremito della vita mentre era convinta di dover morire sfidando un demone.