di Luigi Brasili
Come la creta.
Accenna un sorriso, Greta, al ricordo di quelle parole, mentre la figura dell’uomo ondeggia all’orizzonte fino a farsi indistinta, ombra in mezzo alle ombre.
E subito il sorriso si spegne, e sul volto di Greta si stende il crepuscolo che già ammanta la spiaggia. Il vento le frusta i capelli sulle spalle e aiuta la marea a cancellare le poche impronte ancora visibili.
Greta strizza gli occhi, le braccia strette a scaldarsi il cuore, e conta i passi, prima che scompaiano del tutto.
Non arriva nemmeno a dieci.
Adesso l’orizzonte è circolare e solo il rumore del mare concede l’illusione che laggiù, da qualche parte oltre il nero, ci sia qualcosa oltre la notte, qualcuno.
Lei aspetta ancora, sperando senza sperarlo davvero che l’uomo della sabbia torni sui suoi passi. Ma tutto resta immobile, e nessuna voce, nessuna luce, sembra poter destare quella notte, quella speranza.
Eppure una voce, una piccola voce, ci riesce.
Luca le tende la mano, lei la avvolge tra le sue e si china per baciarlo sulla fronte.
« Hai ragione, ci stanno aspettando. E tu devi essere affamato. Scusa, Luca. Sono una sciocca, vero? »
Luca scuote deciso la testa, due volte, e si gira indicando le finestre, poche decine di metri sopra la linea in cui la pietra si fa sabbia.
Camminano mano nella mano, controvento, fino al tratto di spiaggia protetto dal tendone.
Greta adesso ha fretta e non vuole fermarsi ma il braccio di Luca si irrigidisce. Restano fermi a studiare ogni profilo, ogni angolo; ormai il buio nasconde quasi tutto ma basta il ricordo per guardare, non servono gli occhi.
Un lampo scuote cielo e mare, e per un istante ciò che è rimasto sembra risorgere ancora intatto dalle proprie rovine.
Altre luci, e i tuoni a seguire sempre più vicini. Le prime gocce di pioggia, o forse è solo l’acqua del mare, si spingono sotto il tendone a completare il lavoro lasciato a metà dai temporali di fine estate.
Greta si sposta, e il braccio di Luca non fa più resistenza.
« Domani, se non piove, faremo togliere il tendone prima che l’inverno se lo porti via » gli dice, affrettando il passo, « e a primavera la ricostruiremo. »
La testa di Luca scatta di nuovo, dall’alto verso il basso.
Corrono sui gradini che tagliano la scogliera e in breve sono al riparo del portico di casa.
Luca apre la porta e le voci saltano fuori ad abbracciarli. Voci e risate. E profumo di cucina.
Greta sorride di nuovo, un sorriso vero, stavolta.
Mezzanotte è già passata. L’unica debole luce filtra a intermittenza nella sala lettura attraverso le imposte, accompagnata dal vibrare impotente dei vetri delle finestre.
Greta si alza dalla poltrona e posa il volume sul tavolo, il segnalibro fermo sulla stessa pagina da giorni, poi attraversa la stanza nel buio, gli occhi della memoria come un bastone.
Solo quando passa accanto alle camere dei bambini si azzarda ad accendere la torcia elettrica che tiene in una tasca.
Luca e Yuri dormono sereni, e anche i bambini nelle altre camere; a parte Sasha che come al solito parla nel sonno, borbottando suoni incomprensibili.
È buffo, pensa Greta, che il bambino sogni in una lingua diversa da quella che usa quando è sveglio. Ma per fortuna Kito, che gli dorme a fianco, sembra infischiarsene dei sogni degli altri, e non c’è idioma che tenga; lui se ne sta tranquillo con la bocca a forma di cuore a mandare baci ai suoi sogni.
Anche le bambine dormono tranquille, persino Rita e Kinue che ogni volta è una guerra per farle addormentare prima di mezzanotte.
Nel corridoio successivo la luce filtra sotto le porte di Sonia e Maria. Greta potrebbe scommettere, vincendo, su cosa stanno guardando le sue due colleghe: un horror, la prima, e un film in bianco e nero la seconda, uno di quelli dove si piange molto e alla fine, però, tutti sono felici e contenti. Già.
Pietro, l’infermiere tuttofare, combatte la sua singolar tenzone con il temporale respingendo i tuoni con grugniti da orso affamato. Anche la porta della sua camera, se potesse, si metterebbe i tappi nelle orecchie. Greta scuote la testa: mai che si ricordi di appiccicarsi un cerotto sul naso.
Greta entra nel laboratorio e si chiude la porta alle spalle. Nella penombra, la vetrina della teca le rimanda un doppio spettrale: un alone scuro al posto dei capelli biondi, buchi neri dove dovrebbe esserci l’azzurro degli occhi, e dita lunghe, tremanti, come filamenti di una medusa nella corrente.
I tentacoli toccano la parete, e in un clic la luce del lampadario scaccia lo spettro e infiamma le sculture oltre il vetro. La mano destra di Greta sfiora rosoni, torri, archi. Le tre cattedrali, che Pietro chiama scherzosamente Sonia, Greta e Santa Maria, regalano una sensazione di caldo e freddo alle dita che le accarezzano.
Greta solleva con cura la più grande e la poggia su uno dei banchi, poi si siede e fissa i minuscoli gargoyle che fanno la guardia sulla facciata.
La voce di Kinue risuona da un recesso lontano, come se fosse nascosta dietro una delle piccole vetrate screziate, o in una delle torri: « Con che li fai i mostri, con la greta? »
Lui aveva sorriso a quella domanda e le aveva fatto l’occhiolino. « No, con lei non vengono bene, meglio con la creta » le aveva risposto indicando Greta.
La bambina aveva iniziato a ridere fino alle lacrime, ripetendo Come la creta a voce alta, mentre Pietro la spingeva sulla sedia a rotelle. Come la creta…
L’uomo della sabbia aveva alzato le spalle fingendo di scusarsi e Greta era stata al gioco mettendogli il muso. Poi erano usciti insieme fino alla spiaggia e si erano seduti sulla sabbia a guardare le onde.
Mancava ancora molto alla fine dell’estate. E sembrava che quell’estate non sarebbe finita mai.
L’aveva visto arrivare un pomeriggio di primavera, all’improvviso. Un attimo prima la riva era deserta e un attimo dopo c’era lui. I bambini giocavano sulla spiaggia, facce e mani incrostate di sabbia e crema solare.
Greta si era subito alzata dalla sedia a sdraio e si era avvicinata d’istinto ai bambini. Sonia e Maria avevano seguito il suo sguardo rivolgendole un cenno d’intesa.
Lui, incurante dei cartelli che vietavano l’accesso nella spiaggia privata, camminava lungo la riva, le scarpe coi lacci annodati penzolanti su una spalla, il cappello di paglia a fare ombra ai suoi occhi. Aveva proseguito fino al limite della scogliera, per diventare di colpo il ricordo di un miraggio.
Una settimana dopo Greta lo incontrò di nuovo. Era andata al supermercato del paese per comprare quadernoni e matite, e lo vide uscire mentre lei era alla cassa. Lo riconobbe dal cappello. Presa dalla curiosità si affrettò a pagare e uscì.
Nel parcheggio studiò le automobili e i passanti, ma l’uomo misterioso era già scomparso tra le pieghe della notte appena scesa.
« Non c’è due senza tre » disse Maria, quella sera dopo cena, ascoltando il racconto di Greta.
Era il turno di Sonia e Pietro di mettere a letto i bambini, e loro due indugiarono ai tavoli della sala refezione con un velo di grappa nei bicchieri.
Prima di sparare un’altra massima, Maria attese che i volontari alla mensa lasciassero l’edificio. Allora posò il bicchiere sul tavolo e appoggiò il doppio mento sulle mani. « Gli occhi son fatti a girella, non pagano tabella. In fondo ci ha dato un’occhiata e se n’è andato, giusto? »
Greta scosse la testa. « Che c’entra la girella? »
« Lascia stare, Paganini non ripete, piuttosto, a proposito di occhi, azzurri come cielo di nord dice Sonia, ma io ero più vicina: sono grigi, ci posso mettere la mano sul fuoco! »
« A quanto pare sono l’unica a non averli visti… ma guarda che state girando un film senza attori. Forse non è chiaro che vi ho raccontato del supermercato solo per dire, tutto qua! »
« Oh sì » commentò Maria dopo aver bevuto un altro sorso, « e mica dico no, però, figlia mia, dai retta a una vecchia gallina che non fa neanche il brodo buono, se continui a restare qui ti ritroverai come me, sfiorita e zitella! Eppure quante volte t’ho detto di andartene da questo paese dimenticato che nemmeno l’estate ci vengono i turisti, eh? »
« Maria, io voglio stare qui, con questi bambini, loro hanno bisogno di me, io… »
La sedia di Maria grattò forte il pavimento. « Forse, ma non serve che stai qua tutti i santi giorni e le notti! Trovati una casa e vieni qui solo a lavorare, e magari con una casa tua, da cosa nasce cosa, e più tempo per pensare alla tua, di vita! »
Greta provò a replicare, ma dalla sua bocca uscì solo aria.
Maria posò il bicchiere e se ne andò senza dire altro. Allora dalla bocca di Greta uscì finalmente quello che non era riuscita a dire prima, quello che non era mai riuscita a dire a nessuno: « Luca… ha bisogno di me… »
Il tre annunciato da Maria arrivò puntuale il giorno dopo. Fu Pietro a vederlo per primo. Chiamò Greta e le indicò la finestra del laboratorio. Lei poggiò sul banco il disegno appena mostratole da Sara e raggiunse il suo amico.
Oltre il vetro si vedeva una porzione della spiaggia, dalla scogliera che segnava la zona a destra dell’istituto fino al punto opposto, a poco meno di mezzo chilometro, dove l’arenile si restringeva e il mare lambiva la strada costiera.
Più o meno a metà di quel tratto di costa, a una decina di metri dalla riva, lo sconosciuto dal cappello di paglia stava in ginocchio sulla sabbia.
« Che ne pensi? » disse Pietro, pulendo in continuazione le lenti degli occhiali, « sembra un cane. »
« Ma da quanto è lì? » domandò Greta.
Pietro borbottò qualcosa circa uno zoom, e uscì in corridoio.
Greta restò a guardare la strana danza dell’uomo, che girava intorno alla scultura, alternando movimenti ora veloci, ora lenti e delicati, delle braccia.
« Vediamo un po’ » disse Pietro armato di macchina fotografica, « si dovrebbe ingrandire… »
« Un leone! » urlò Sasha sgomitando e saltando come un ossesso. Poco dopo il vetro era oscurato da decine di teste urlanti, mentre Maria e Sonia, richiamate dal frastuono, si affacciavano nel laboratorio.
Greta lasciò Pietro a discutere con i bambini su chi avesse la precedenza e tornò ai banchi vuoti. A parte quello di Luca, e quello di Kinue.
La bambina guardava ansiosa verso il gruppo di compagni, un velo di rabbia impotente negli occhi.
Greta le accarezzò una guancia e chiamò Pietro, che si diede una gran manata sulla fronte e corse a prenderla in braccio annunciando baldanzoso a tutti di fare posto a Kinue.
Greta si sedette accanto a Luca, studiando la matita che con precisione millimetrica tracciava linee e angoli su un foglio da disegno.
« Sei sempre più bravo a disegnare, quella cos’è, una scuola? Bella, anche la chiesa! »
Luca non rispose all’ennesimo tentativo di Greta. La guardò di sfuggita e tornò al suo mondo preferito, fatto di linee geometriche e colori.
Maria le posò una mano sulla spalla.
« Il tizio è andato via, i ragazzi vogliono vedere da vicino il leone. »
Greta annuì alzandosi.
« Vai avanti, ci penso io. E tu signorino, vediamo un po’ cos’hai disegnato… bello, ora però andiamo in spiaggia, forza. »
Luca restò fermo, le nocche livide a stringere la matita.
Greta attese finché, finalmente, il bambino aprì di scatto la mano e si alzò, seguendo Maria verso l’uscita.
Il giorno dopo fu Rita ad annunciare per prima la comparsa di un nuovo animale sulla spiaggia. « Un delfino! » urlò sbirciando alla finestra dopo essere tornata dalla toilette. « L’uomo della sabbia ha fatto un delfino! »
Seguì la stessa trafila del giorno precedente, con la calca alla finestra e Greta seduta accanto al bambino silenzioso e ai suoi disegni.
E di nuovo la processione alla spiaggia dove occhi curiosi e mani irrequiete assediavano la scultura che affiorava dalla sabbia nella luce del tramonto.
Poi fu il turno di un pellicano, e di un lupo.
Quando l’uomo giunse alla spiaggia per dare nuova forma alle ceneri del lupo, trovò una folta schiera di spettatori ad attenderlo.
« Buonasera » disse lui portando la mano al cappello. « Buonasera » rispose Pietro seguito dal coro di voci bianche.
Lo scultore sorrise e con gesti teatrali si tolse lo zaino e lo svuotò, mostrando ai bambini i suoi « ferri » del mestiere: un paio di coltelli da tavola, una spatola, un nebulizzatore, una paletta e una serie di altri arnesi ricavati da oggetti di plastica.
« Avete una preferenza, bambini? » chiese l’uomo incrociando le braccia.
Una ventina di mani si alzarono e seguì una serie di nomi. « Mi pare che la sirena sia la più richiesta dalle bambine, quindi sirena sia… »
Via via che la sirena prendeva forma i bambini guardavano in silenzio oppure battevano le mani al comparire del volto o della pinna o ancora delle braccia della donna pesce. Con sorpresa di Greta, Luca, che fino al giorno precedente si era limitato a osservare le sculture a debita distanza sulla spiaggia, stavolta si avvicinò fin quasi a sfiorare la nuova scultura, seguendo con attenzione il movimento dell’artista.
Greta si voltò per compiacersi con Maria, ma la sua amica si era allontanata a riva per parlare in modo quasi furtivo con Pietro. Ogni volta che incrociava gli occhi dei due colleghi questi si affrettavano a sorriderle per poi tornare a confabulare.
Sonia, accanto a lei, le mostrò i palmi e alzò le spalle. Di poche parole come al solito, si limitò a dire: « Penso facciano qualche pensata delle loro. »
« Lo credo anch’io, speriamo bene… »
Quando la sirena fu del tutto adagiata al sole, l’uomo si allontanò di qualche passo per permettere a tutti di ammirare la sua creazione. Per la prima volta da quando era arrivato, il suo sguardo incrociò quello di Greta.
Maria, tornatale a fianco, le assestò una gomitata. « Visto che avevo ragione? Sono grigi… »
L’uomo della sabbia riempì lo zaino e se lo mise in spalla, poi si tolse il cappello e lo ruotò nell’aria inchinandosi, la testa semicalva imperlata di sudore.
« Pazienza » disse Maria applaudendo con gli altri, « nessuno è perfetto, e poi non è bello quel che è bello ma è bello… »
Greta la liquidò con un’occhiataccia e iniziò ad aiutare Sonia per mettere in fila i bambini, mentre Pietro si attardava a parlottare con lo sconosciuto. Prima di andarsene, questi guardò direttamente Greta e le sorrise, e stavolta lei non poté fare a meno di dare ragione a Maria. Su tutto.
La tennero sulle spine fino al pomeriggio successivo, quando non vedendolo arrivare Greta chiese lumi a Pietro.
« Oggi aveva da fare, ma domani, visto che è domenica, lo abbiamo invitato a pranzo e lui ha accettato » rispose Maria, anticipando Pietro.
« A pranzo qui? Ma se non lo conosciamo nemmeno, come fate a fidarvi di… »
Pietro la rassicurò con un gran sorriso. « Tranquilla Greta, io la gente la inquadro subito e Salvo, questo è il suo nome, è un tipo a posto, e poi mica abbiamo un regolamento così ferreo, no? Non viene mai nessuno a parte qualche parente alla lontana dei bambini, ai volontari diremo che è lo zio di uno di loro… »
« Se lo dite voi, mi fido, allora… »
Maria le calò una manata sulla schiena. « Fai bene a fidarti, vieni, vieni che andiamo in paese a comprarci un vestito… »
« Un vestito? »
« E mica ti vuoi presentare coi quattro stracci delle guerre puniche che hai nell’armadio? Forza, che domani ti voglio bella come il sole! »
Greta alzò la testa al cielo e si arrese, anche se Maria dovette spingerla quasi di peso fino alla macchina.
Salvo arrivò verso mezzogiorno, indossando un completo di lino. Entrambe le mani reggevano delle grosse buste, da una delle quali spuntavano dei fiori. Pietro lo guidò fino al laboratorio, e gli mostrò un banco vuoto. Salvo posò le buste sul piano del tavolo e attese l’arrivo delle istitutrici accompagnate dai bambini. Dopo i saluti di rito distribuì il contenuto delle buste ai bambini, in una sorta di Natale fuori stagione.
Poco dopo giocattoli di plastica ed elettronici erano preda di mille dita impazienti, mentre sui banchi giacevano sparsi altri regali, soprattutto libri di avventura e cancelleria varia.
Maria, raggiante, richiamò all’ordine i bambini ordinando di andare a lavarsi le mani, portando una delle tre rose donate dall’ospite come se fosse d’oro massiccio. Greta fissò la sua rosa e fece una delle poche cose che ultimamente le riuscivano meglio: scuotere la testa.
Dopo pranzo i bambini sciamarono verso i nuovi giocattoli, sotto l’occhio vigile, e complice, di Sonia e Maria. Greta e Pietro accompagnarono l’ospite alla scogliera.
L’aria era molto calda, l’estate già premeva per scacciare la primavera. Pietro armeggiò con la scatola di sigari ricevuta da Salvo; ne accese uno e si affrettò ad allontanarsi di qualche metro, avanzando scuse per il fumo.
Poco dopo, erano da soli a guardare la sirena. Greta la indicò. « È ancora intatta, credevo che si sarebbe sfaldata presto… »
« È per questo che si usa la colla, per farle durare più a lungo » rispose Salvo.
« La colla? »
« Certo, il nebulizzatore con cui le spruzzo contiene anche della colla liquida. Facendo attenzione e lavorando con calma possono durare mesi, anche anni, giuro. Naturalmente dipende anche dal tipo di sabbia, dalla forma, dalle protezioni… »
Greta annuì. « E dove ha… hai imparato? »
Salvo sorrise. « Proprio qui, in questa spiaggia. »
« Vuoi dire che tu eri in questo istituto da bambino? »
« No, io abitavo in paese. Ci venivo con mio padre, è stato lui a insegnarmi. Venivamo qui spesso in primavera e in estate. » Le indicò l’edificio alle loro spalle: « All’epoca questo posto era un orfanotrofio… »
« Sì, lo so » rispose Greta. « Quando sono venuta a lavorare qui ho saputo che venne chiuso e poi alcuni anni dopo fu dato in gestione a un ente privato, una fondazione che ospita bambini che vengono da situazioni familiari difficili oppure dalle guerre, da altri istituti…. scusa ti ho interrotto… e dopo, cosa hai fatto, ti sei trasferito? E come mai adesso di punto in bianco… scusami, sono indiscreta, vero? »
Salvo tacque, lo sguardo perso all’orizzonte. Sopirò come per iniziare a dire qualcosa, poi si guardò il polso. « Scusami. Ora devo andare. » Le porse la mano tesa. « Ci vediamo domani, e grazie per l’ottimo pranzo. »
« Grazie a te per i regali, avrai speso un patrimonio. »
Lui agitò una mano. « Non è niente, credimi. Ciao Pietro, a domani! »
Pietro lo salutò dalla spiaggia.
« Ciao, a domattina! »
Domattina? Greta si voltò per chiedergli spiegazioni ma la macchina di Salvo era già sul vialetto d’uscita.
« Perché domattina? » chiese a Pietro andandogli incontro.
« Maria gli ha chiesto di partecipare alle lezioni domani » rispose l’uomo.
« Ah! »
« Perché, ti dispiace? »
« No no, indifferente… »
A me non m’importa mica, avrebbe mentito Maria.
Dopo la lezione di matematica, Sonia cedette la cattedra a Maria, che prese a distribuire i fogli da disegno tra i banchi.
Salvo era arrivato poco dopo le dieci e si era seduto su una sedia in fondo, accanto a Greta. A un certo punto indicò Kinue. « Cos’ha alle gambe? » le chiese.
« Poliomielite » rispose Greta, « e dire che lei, come suo fratello Kito, è stata fortunata… in Ruanda migliaia di bambini non lo sono stati altrettanto, e forse non lo saranno mai… »
Lui annuì e restò assorto a guardare le teste abbassate sui banchi. Poi si alzò all’improvviso e raggiunse il banco di Luca. Greta quasi gli corse dietro. Salvo la scrutò pensieroso, ma non disse nulla.
Il bambino stava plasmando un blocco di creta sintetica. L’uomo gli porse un coltello di plastica. « Usa questo » gli disse. Luca non reagì subito. Sembrava non averlo neanche sentito.
Salvo non si scompose e continuò a tendere il braccio verso il bambino. Con sommo stupore di Greta, Luca prese il coltello dalla mano di Salvo. Questi premette l’indice in un punto della base. « Inizia a tagliare questo pezzetto » disse. Luca eseguì e attese.
« Cosa vorresti creare? »
Salvo non si perse d’animo al silenzio di Luca.
« Allora decido io, va bene? Faremo una cattedrale. »
Poggiò la mano su quella del bambino e la spinse piano. Greta e Maria si guardarono quasi terrorizzate in attesa della certa esplosione di Luca. Invece lui si lasciò guidare senza fare alcun resistenza, né scatti d’ira. Maria strinse forte la mano dell’amica. La prima pietra della Santa Maria era stata appena posata.
Nell’arco di poco meno di un mese Luca stava già erigendo, da solo, la terza cattedrale di creta. La quarta, la più grande, cresceva ogni giorno sulla spiaggia, sotto il tendone che Pietro e due volontari avevano assicurato a ridosso della parete rocciosa, nel punto più distante dal mare e meglio riparato dal vento. Intorno al tendone erano disseminati i resti delle sculture che i bambini, aiutati da Salvo, tiravano su nelle ore più fresche dell’estate ormai piena.
L’uomo della sabbia non spese troppo tempo per lavorare a quelle sculture, consapevole che i bambini, come fanno sempre, presto o tardi avrebbero iniziato a girarci intorno in cerchi concentrici sempre più stretti, come squali in procinto di attaccare una preda.
E la moltitudine di « rovine » disseminate lungo la spiaggia ne era la prova.
Anche Greta e gli altri pensavano che in fondo quel comportamento era la dimostrazione, a dispetto del fatto di essere meno fortunati, che non erano poi così diversi dagli altri bambini, e che almeno un po’, forse, erano davvero felici.
In compenso nessuno dei bambini, a parte quando Salvo li invitava a dare una mano per renderli partecipi, si avvicinava alla cattedrale sotto il tendone; al di là degli ammonimenti più o meno diretti degli istitutori, quella scultura era diventata per tacito accordo la cattedrale di Luca, che spendeva tutto il suo tempo in spiaggia sotto il tendone ad aiutare Salvo.
« Perché proprio una cattedrale? » gli chiese Greta, una sera. Era la fine di giugno e per la prima volta lei aveva accettato un invito a cena. Erano a casa di Salvo, sul terrazzo. Il mare non era visibile, ma lei ogni tanto ne percepiva il profumo.
« Mio padre diceva che le cattedrali sono un simbolo, a prescindere dall’aspetto religioso » rispose lui, « e che preservano il sudore, la fatica, le convinzioni, le aspettative della gente; e sono sia il passato sia il futuro: l’uomo può vederle crescere mentre lui invecchia, oppure può vedere nella pietra l’anima di chi le ha erette, e quando muore esse mantengono qualcosa di coloro che le hanno costruite, o solo ammirate; e così anch’essi vivono in un lungo presente. »
« Niente male tuo padre! »
« Già. »
Le versò da bere.
« Basta così, grazie. E poi hai fatto bere solo me, tu non hai toccato il vino. »
Lui annuì e si alzò. Le diede la schiena appoggiato al parapetto. « Quella domenica mi hai chiesto cosa avevo fatto dopo aver lasciato questo paese… »
Lei lo raggiunse, invitandolo a continuare.
« Ho finito gli studi in California, vivevo con un fratello di mio padre. Poi ho iniziato a lavorare nel cinema. Scrivevo sceneggiature, e in poco tempo avevo guadagnato molti soldi. Ti presento Sal Carrisi… »
« Mai sentito » disse lei imbarazzata, « a parte che quelle ferrate di cinema sono Maria e Sonia. Ma perché quel nome? Non ti piaceva il tuo? »
« Un vezzo, suona meglio, pare; comunque a un certo punto avevo un lavoro, una bella casa, una moglie e un figlio stupendi… »
« E poi? »
« Poi, come capita a volte, ho iniziato a dimenticare quanto fossi fortunato, e quando compresi che stavo per perdere tutto ciò che contava, era troppo tardi. »
Greta tacque, nell’attesa.
Lui le mostrò le mani.
« Per molto tempo le ho tenute impegnate, mentre pensavo a cosa fare del futuro. Un bicchiere in una mano e una pistola nell’altra. Purtroppo o per fortuna ne ho usata solo una… Poi un giorno ho spiato mio figlio, nascosto come un ladro. Non ho avuto il coraggio di avvicinarmi. Ma ho avuto quello di provare a vivere. E così sono partito, ed eccomi qui. »
Greta continuò a tacere, incapace di trovare qualcosa da dire che non fosse banale.
« Mio figlio non ricorderà nemmeno la mia faccia. Ora ha più o meno l’età di Luca. Lui, loro, lo sanno? »
Greta alzò la testa di scatto e si allontanò di un passo.
« Cosa? »
« Che Luca è tuo figlio. »
« Hai fatto indagini su di me! »
Salvo alzò le mani, sorpreso.
« No » disse, « giuro, l’ho capito da come lo guardi, l’ho intuito. Si vede che adori tutti quei bambini, ma anche che lui per te è speciale, e lo è in un modo diverso, e non perché lui è così diverso. Lo giuro, Greta. »
Lei tornò al tavolo e vuotò d’un sorso il bicchiere.
Salvo prese uno dei sigari di marca che aveva regalato a Pietro e lo accese. Fece un paio di tirate e poi lo spense nel piatto sporco. Tornò al parapetto. Era il suo turno di tacere, e aspettare.
Greta gli tornò al fianco, e quando lui le cinse le spalle con un braccio lei non si ritrasse.
« Ero così giovane. Credevo di amare il padre di Luca. Credevo mi amasse… Se ne andò poco prima del parto. Sono tornata dai miei senza dire nulla. Poi mi sono laureata… e un giorno ho incontrato la suora che mi aveva aiutato in ospedale. Fu lei a riconoscermi. Le chiesi del bambino… E lei, lei disse che la famiglia affidataria lo aveva… rifiutato, proprio così. Ne parlai con mia madre, che mi convinse a cercarlo. Così sono venuta qui, avevano bisogno di personale, e mi assunsero. »
« Nessuno di loro lo sa? »
« Non penso abbiano capito, forse Maria, ma da come si comporta penso di no. »
Salvo le prese il viso tra le mani. « Dovresti dirglielo, capiranno. Tutti quanti. »
Lei gli sfiorò le labbra con le sue.
« Ci proverò » disse, allontanandosi. « Ci vediamo domani? » gli chiese uscendo.
« Certo, abbiamo un lavoro da finire… »
Era una mattina di metà luglio quando la cattedrale di sabbia fu completata.
Pietro trascinò in spiaggia anche i volontari per immortalare il momento.
Dopo aver posato in decine di foto, Salvo sussurrò qualcosa all’orecchio di Greta. Lei annuì, trattenendo il respiro.
L’uomo della sabbia strinse la mano di Luca, a suo modo raggiante per la soddisfazione. « I due artisti! » esclamò Pietro, seguito dagli applausi. Salvo si inginocchiò accanto al bambino.
« Vuoi fare una foto con lei? »
Luca rispose con un monosillabo, ma per Greta fu la parola più bella, lunga come tutte le parole del mondo.
« Sabbia, pietra, o creta, è lo stesso, è il cuore che conta » diceva Salvo ai bambini mentre lavorava alle sculture. Eppure verso la fine di agosto i temporali avevano iniziato a sbrecciare angoli e incrinare archi. A metà settembre la cattedrale aveva perso gran parte del suo splendore.
L’estate stava per finire davvero.
Le valigie erano in fila nel soggiorno. Lui abbassò gli occhi quando lei entrò.
« Quando? » gli chiese, davanti alla porta.
« Dopodomani. »
Il tono di Greta, nonostante tutto, era calmo.
« E quando lo hai deciso? »
« Il giorno delle foto in spiaggia. Appena ho sentito la voce di Luca. Non ho mai costruito una cattedrale per mio figlio. Forse è tardi ma voglio provarci. »
« E te ne vai così? »
« No, domani verrò a salutarvi. »
Greta si voltò verso la porta.
« No, per favore, resta qui, almeno stanotte. »
« Pensi di tornare, dopo? »
« Sì, se riesco a costruirla. »
Gli andò incontro e sorrise.
« Sono certa che ce la farai. »
« Anche tu. »
Fuori, il temporale è ancora forte.
« Ne sono certa » sussurra Greta, richiudendo la teca.
Davanti al portone, afferra la maniglia, l’abbassa.
« Sì » urla in silenzio alla pioggia, « glielo dirò domani! Hai ragione, sabbia, creta, o pietra, è lo stesso. Buonanotte, uomo della sabbia, grazie per tutto. »
Supera il riparo del portico e urla di nuovo, con tutto il fiato.
« Non ti dimenticherò mai! »
L’eco della voce si spegne in fretta nel temporale e la pioggia che le bagna il viso è salata.
Forse, è solo l’acqua del mare.