di Matteo Doglio
Naeli posò la fotografia con gli occhi arrossati dal sonno.
Suo padre e suo nonno sorridevano abbracciati dietro la sottile cortina di vetro. Erano andati via entrambi, quattro anni prima, subito dopo l’incidente nei condotti. Si vociferava che fossero esplosi dei tubi nelle gallerie meno trafficate e più profonde della Cattedrale, e che interi compartimenti fossero stati resi inagibili per intere settimane.
I medici avevano assicurato a lei e a sua madre che non c’era da preoccuparsi, che i densi gas che provenivano da quei tunnel di servizio, nei quali suo padre e suo nonno lavoravano come tecnici, non erano in alcun modo dannosi per la salute.
E lei, piccola per la sua età nei suoi dieci anni di vita, ci aveva creduto.
Poi, un paio di settimane dopo, Naeli si era accorta degli strani silenzi che avevano occupato la casa, di come si zittissero tutti quando passava, e di come i suoi genitori si lanciassero strani sguardi furtivi, di cui lei, bambina, non coglieva il significato.
Quindi se ne erano andati. Suo padre e suo nonno, due uomini alti, massicci, dai folti capelli biondi e dai baffi curatissimi, le si erano avvicinati e l’avevano abbracciata forte, prima di prendere la porta in silenzio.
Naeli li aveva rincorsi e aveva chiesto loro dove stessero andando. Suo padre si era fermato e si era girato verso di lei. Illuminato dalle lampade al neon dei corridoi della Cattedrale, alto e lucente come un angelo, le aveva sorriso e aveva risposto « Vado a vedere le Nuvole. »
Dopodiché le accarezzò la testa e uscì, per non tornare mai più.
Nei quattro anni seguenti, Naeli aveva sentito più di una volta quell’espressione, specie dalle bocche dei vecchi e dai malati, che da un giorno all’altro sparivano e non tornavano più.
Naeli credeva fermamente che quelle persone andassero da qualche parte, a vedere le Nuvole, e che fossero così belle che si dimenticavano di tornare a casa.
Per questo aveva maturato la convinzione che ci dovesse essere qualcuno che andasse a cercarli per ricordargli di rincasare, e che fossero tutti lì ad aspettare.
Di conseguenza, aveva deciso di essere lei quel qualcuno. Ma, prima ancor di questo, voleva vedere anche lei le Nuvole.
Ora, quattro anni dopo, aveva finalmente trovato un percorso per arrivare, non vista, all’orlo esterno della Cattedrale, e poter finalmente uscire. Quattro anni di ricerche tra le mappe di suo padre, con la matita in mano e tanta determinazione.
Alla scrivania di suo nonno, Naeli riprese in mano una sezione della Cattedrale, che di profilo assomigliava a un disco schiacciato, e che in pianta, invece, appariva come un cerchio perfetto. Una scatola chiusa, impenetrabile, di metallo e superfici lucide, ma nessun tipo di vetro, se non nelle zone più ricche. E usato solo all’interno, mai per guardare fuori.
Aveva capito presto che doveva evitare il nucleo interno della Cattedrale, tra le TermoCentrali e i pozzi di raffreddamento, tanto larghi che i tecnici utilizzavano dei veicoli su binari per attraversarle, e tanto profondi che neppure il più audace degli uomini o il più spavaldo dei ragazzini sarebbe riuscito a sbirciarvi dentro senza farsi venire le vertigini. E non poteva passare in alto, dove si trovavano i Matronei, le case più ricche.
Poteva arrivare fuori solo passando per i condotti di servizio di suo padre e suo nonno.
Aveva passato gli ultimi mesi a pianificare il percorso, cercare passaggi nascosti, accessi alle zone di quarantena ancora attive, ma che, dopo ben quattro anni, dovevano essere state messe in sicurezza, e che lei segnava come tappe per la sua importante missione.
Un giorno indistinto di un anno prima, come per un miracolo, aveva trovato nelle mappe delle porte, lungo il perimetro della Cattedrale. Molte erano state sbarrate, altre erano state coperte con pannelli di ferro, altre ancora erano in zone di quarantena, o in aree presidiate dalla polizia.
Naeli ne aveva isolate tre, che potevano fare al caso suo. Aveva fatto i calcoli, disegnato tragitti, confrontato mappe e sezioni, e immaginato i tempi. La più vicina a casa era a quasi un giorno di viaggio tra scale, corridoi e cunicoli.
Poi decise. Aveva organizzato ogni cosa, copiato il percorso su un foglio che teneva piegato in una tasca interna della tuta color amaranto, proprio vicino al cuore. Non aveva motivo di rimandare oltre.
Lasciò andare un sospiro profondo, quindi inspirò a lungo, per calmarsi, ma senza riuscirci. Il cuore le batteva all’impazzata, e quasi le mancava il respiro.
Si alzò di scatto dalla scrivania, rovesciando la sedia. Andò in camera e prese lo zaino più grosso che aveva. Vi mise dentro tutto l’occorrente per passare la notte fuori, e una tuta rossa di ricambio.
Salutò sua madre in fretta e senza guardarla in faccia, perché non sarebbe riuscita a mentirle riguardo al motivo per cui stava uscendo, e nel caso l’avesse fissata negli occhi, il rossore che le avrebbe coperto le guance pallide e puntellate di efelidi sarebbe stato come un cartello al neon sui suoi intenti.
Uscì. Si ravvivò i capelli biondi lunghi fino alla base delle orecchie e si sistemò lo zaino sulle spalle, quindi si avviò. Il corridoio principale che conduceva da casa sua a quella di Haal non le era mai sembrato così lungo e pieno di gente curiosa. Le pareti di marmo bianco tirato a lucido riflettevano la sua figura alta e sottile come una betulla all’infinito, in un gioco di strade parallele che correvano accanto a lei, alla sua sinistra e alla sua destra.
Haal non si fece attendere. Il giovanotto magro, allampanato, i cui corti capelli castani sembravano voler schizzare via dal cranio in ogni direzione e da un momento all’altro, l’accolse sulla soglia con un sorriso assonnato e le palpebre a mezz’asta che invocavano il letto con un vago tremolio.
Vedendola con lo zaino sulle spalle e l’espressione concentrata e colma di aspettativa, capì che era arrivato il giorno. Le chiese di aspettare un secondo, e sparì dentro casa a raccattare tutto ciò che riteneva necessario.
Nell’attesa Naeli riprese fiato. Haal era il suo migliore amico da sempre, ma dal giorno in cui erano spariti suo padre e suo nonno, qualcosa era mutato in lei, nel modo in cui lo vedeva. Lui le era rimasto accanto senza risparmiarsi, dormendo, alle volte, persino sul pavimento della sua camera, quando lei non riusciva a stare da sola. Nei mesi, la sua vicinanza divenne qualcosa di più di una abitudine: divenne la colonna portante della sua vita, la sola persona che la tenesse in piedi, tutta d’un pezzo, e l’unico che l’aveva appoggiata anche nel momento in cui lei aveva confessato che voleva vedere le Nuvole. Divenne fondamentale, insostituibile, la sola cosa che le importasse al di fuori di sua madre e della sua missione.
Era cotta di lui. Ma non glielo avrebbe mai detto.
Hall ritornò vestito di tutto punto, con una vistosa cintura per gli attrezzi appesa alla vita, e uno zaino di poco più grosso di quello di lei. Senza bisogno di parole, partirono.
Naeli aveva imparato a memoria la prima parte del percorso, che si snodava attraverso gallerie che traboccavano di tecnici e di poliziotti. Aveva deciso di partire al mattino perché sapeva che i turni di lavoro iniziavano dopo mezzogiorno, e che quindi avevano qualche ora di tempo per raggiungere i corridoi e gli anfratti meno utilizzati senza essere visti.
Haal camminava dietro di lei in silenzio, con gli occhi scuri che scrutavano il riflesso delle gambe di Naeli nel freddo e lucido pavimento. Gambe lunghe e sottili, che si alternavano con una grazia quasi soprannaturale, non intaccata dal passo d’urgenza con cui Naeli le muoveva, solcando a grandi passi il corridoio largo e di un bianco abbacinante. Il riflesso la seguiva sempre, svanendo poco più in su delle caviglie, evanescente, pallida copia dell’originale di carne.
In quel momento, il riflesso di Naeli era l’unica cosa a cui Haal riuscisse a pensare. La ragazza lo condusse, rapida e silenziosa, attraverso scale e ascensori fino alle Navate, i livelli più poveri della Cattedrale, situati vicino al suo centro, dove i materiali dei corridoi passavano dai marmi e dai metalli candidi e lucenti dei livelli alti, a opache pareti color acciaio.
Naeli procedeva spedita, senza tentennamenti.
Girarono parecchie volte, svoltando in cunicoli sempre più stretti e bui, le cui sole fonti di luce erano due strisce luminose di un bianco tetro e asettico che correvano ai lati del soffitto.
A un certo punto i due ragazzi incrociarono uno schermo a muro della Ecclesia che proiettava un vecchio video registrato, nel quale un uomo anziano, smunto e senza un capello in testa, gracchiava queste parole: “Il Cielo e l’Uomo erano una cosa sola, al principio. Poi l’uomo assunse emozioni grette, come l’odio, la gelosia, l’invidia, e il suo animo divenne pesante, e cadde. Nei secoli abbiamo eretto Cattedrali sempre più alte per ritornare nel luogo che ci è diventato interdetto, palazzi e torri e macchine per elevarci, ma il nostro spirito restava nero e greve come un macigno.”
« Che cavolate » mormorò cupo Haal.
“Ma il lavoro, la fede e un comportamento pio” continuò la registrazione “potranno mondare le nostre anime, e renderci degni del regno celeste. Allora saremo riaccolti tra le braccia della nostra vera Casa, e serenità e pace riempiranno i nostri cuori. Pregate con l’Ecclesia per epurare il vostro animo. Venite con noi a salvarci dalla terra che non ci vuole. Ricordate che il luogo dove vivete è un luogo di culto, e c’è un Pulpito in ogni Navata. Preghiamo insieme per tornare a Casa.”
I due ragazzi passarono oltre, mentre la voce roca e disturbante del predicatore su schermo si spegneva dietro di loro. Superato l’angolo di un corridoio, ritornarono a udire solo sbuffi di vapor acqueo, clangori di macchinari e il persistente e rimbombante gocciolio della condensa dai tubi sul pavimento.
Si inoltrarono in labirinti di corridoi larghi poco più di loro due affiancati, e alti quasi il doppio, sopra le loro teste. Le pareti di lastre metalliche erano arrugginite, e alternavano colori dal rosso acceso al verde. Le luci assunsero tonalità cupe di arancio e giallo, che lasciavano sui muri una patina tetra che sapeva di malattia. L’atmosfera era opprimente e irreale. Persino i loro passi risuonavano come qualcosa di separato dai loro piedi, il battito aritmico di un essere alieno che li circondava.
Dopo poche decine di metri, le pareti diventarono umide, e una patina d’acqua ricoprì il pavimento, rendendolo scivoloso. Poi si trovarono a camminare su una spessa grata di ferro, sopra un canaletto buio dal quale saliva il sommesso gorgogliare di acqua corrente.
« Non è una cavolata » mormorò Naeli a bassa voce, dopo un paio di minuti.
Haal scosse la testa, distogliendo lo sguardo dal canale: « Come scusa? »
Naeli rallentò e lo guardò seria da sopra la spalla. « Non è una cavolata » ribadì.
« Che cosa? » domando Haal, senza capire.
Naeli tornò a guardare davanti a sé, scura in volto: « Quello che ha detto il predicatore nello schermo. Tu… hai detto che sono cavolate, ma non è vero. »
« Tu credi davvero che se ci comporteremo bene e avremo fede, un giorno potremo ricongiungerci al Cielo? » esclamò Haal, trattenendo a stento la voce. « Non ti sei mai chiesta cosa è il Cielo di cui ci parlano tanto? »
Naeli si bloccò per un attimo, poi riprese a camminare, inquieta e colta sul vivo: « Il Cielo è quello che sta attorno. »
« Attorno a cosa? »
Naeli sbuffò: « Che sta intorno alla Cattedrale, qualunque cosa sia, qualunque forma abbia, se esiste realmente o tutto il nostro l’universo è invece fatto di corridoi di metallo e luci al neon… »
Haal la vide passarsi le mani tra i capelli e tirare il lunghissimo codino che si faceva crescere da quando aveva sei anni, e che da dietro l’orecchio sinistro le ricadeva sul petto. Ogni volta che diventava nervosa, se lo passava tra le dita.
« Come puoi sapere se il Cielo ci rivorrà indietro con sé, un giorno? » esclamò Haal, cercando di tenere bassa la voce. « I preti non dicono come accadrà. Se fosse vero, se noi potessimo tornare da dove veniamo, non credi che basterebbero i nostri corpi di carne, per rovinare tutto? La nostra anima sarebbe sì leggera, ma avremmo ancora le ossa e i muscoli come dei pesi attaccati a essa. Per riunirci al cielo dovremmo perdere tutto il nostro essere materiale e diventare come… come vapore. »
Naeli tirò il codino fino a sentire male: « Io… non so niente di queste cose. Non so nemmeno se esiste qualcosa, oltre quella porta. Ma mio padre, quel giorno, ha detto che andava a vedere le Nuvole, e… e mi era sembrato felice, ecco. Voglio vederle a mia volta. Mio padre diceva spesso che il Cielo era ciò che stava fuori della Cattedrale, ad aspettare. Noi. Le Nuvole, il Cielo, mio padre e mio nonno, è tutto là, e io voglio vedere con i miei occhi. »
« Naeli, aspetta » mormorò Haal. « Ascolta… »
Il ragazzo si bloccò all’istante. Alle spalle di Naeli era apparso un cono di luce da una traversa poco più avanti, e illuminava di una luce smorta e gialla la parete di fronte all’incrocio su cui il corridoio affacciava. Si alzava e si abbassava ritmicamente, ondeggiando appena, accompagnato dal suono inconfondibile di passi sulla grata di metallo.
Naeli sentì quel rumore e si voltò di scatto. Non fece in tempo a dire nulla, che Haal l’afferrò per un braccio trascinandola via il più silenziosamente possibile.
« Dobbiamo nasconderci. »
Naeli arrancava spaventata dietro di lui. Poi si divincolò con uno strattone e indicò ad Haal uno slargo male illuminato alla sua destra. Una persona che non ne fosse a conoscenza, non l’avrebbe mai notato, né tanto meno ci avrebbe guardato se non avesse immaginato che due ragazzi vi fossero nascosti.
Si sedettero in terra e si rannicchiarono, col cuore in gola. Il cono di luce gialla imboccò il corridoio nella loro direzione e si fece più grande e abbagliante. Dopo qualche secondo, dietro di esso apparve un uomo in una tuta larga, ingombrante e grigio scuro, di quelle che utilizzate nelle zone di quarantena o nelle centrali di riciclo dell’aria.
L’uomo caracollò in avanti, probabilmente un tecnico sfinito appena tornato dal turno di notte, fino a sparire dall’altro capo del corridoio.
Rimasero ancora qualche minuto lì, al buio, con il cuore in gola e le orecchie che cercavano di carpire ogni minimo rumore. Ma in quei tunnel, oltre a loro, non c’era più nessuno. La prima a muoversi fu Naeli. Sgusciò fuori dall’anfratto e si spazzolò le gambe della tuta con le mani.
Haal la seguì, ma non sembrava aver voglia di alzarsi.
« Su, andiamo » lo incitò Naeli, porgendogli la mano.
Il ragazzo la rifiutò con aria da duro e si mise in piedi da solo.
A quel punto ripresero la marcia. Naeli tirò fuori la mappa del percorso e valutò la loro posizione, prima di indicare la strada. Haal la seguiva immusonito.
Percorsero altri corridoi dalle luce rossastre su pareti umide e rugginose. Da un certo punto in poi, si alzò la temperatura, e si scoprirono a sudare.
« Siamo vicini alle TermoCentrali » spiegò Naeli, ritraendo scottata la mano che aveva appoggiata alla parete per saggiarne il calore. « Questa è la paratia esterna di una delle cisterne. »
Quindi passò oltre con cipiglio deciso, camminando dall’altro lato del corridoio. Haal avvicinò la mano alla parete, e sentì l’effluvio d’aria calda che gli lambiva rovente il palmo e le dita già a qualche centimetro dal metallo color mattone.
Altri tunnel, altri corridoi. Scesero una scala a pioli e si fermarono di fronte a una grande porta blindata, con un oblò nero al centro. Si trovavano di fronte a uno degli ingressi della Cripta Σ.
Era la più grande del suo genere. Un gigantesco abisso che scendeva oscuro fino a profondità sconosciute. Nessuno aveva mai sondato quell’enorme cerchio vuoto, o si era calato nella sua affamata oscurità. Chi poteva ne passava alla larga, chi invece vi lavorava accanto camminava rapido lungo i suoi bordi, seguendo le strette passerelle che correvano a contatto con la parete, un contatto confortante per gli abitanti della Cattedrale, non abituati a non avere solidi muri di cemento o metallo a distanza di braccia.
Naeli e Haal dovevano ora affrontare la più ardua delle tappe che erano segnate sulla mappa. Un cammino di ore lungo una passerella larga appena per farli passare uno a fianco all’altra. E senza nessuna balaustra.
Haal puntò i piedi all’ingresso e chiamò a sé Naeli, che stava andando avanti decisa e sprezzante del vuoto, da cui lui era, al contrario, terrorizzato. In più, doveva parlarle.
« Naeli » esordì, posando a terra lo zaino. « Devo dirti una… »
Ma la ragazza era già lontana, e non lo sentiva più. Haal guardò il vuoto, la passerella senza balaustra e sospirò. Un passo alla volta raggiunse Naeli e la trattenne artigliandola per la spalla.
« C’è una cosa che ti devo dire. »
La ragazza si voltò con un’aria interrogativa negli occhi azzurri.
« Io… » Haal non sapeva come iniziare. « Io avevo già sentito la frase “vado a vedere le Nuvole”, prima che me la dicessi tu. Me ne ha parlato mio padre. Abbiamo quattordici anni, che è l’età in cui impariamo il Catechismo e sappiamo… »
Naeli fece d’istinto un passo indietro, svincolandosi dalla stretta del ragazzo. « Che vuoi dire? »
« Le… persone, quando sono troppo vecchie o troppo malate, o ferite in modo inguaribile, vanno via. Loro dicono che vanno a vedere le Nuvole, ma è solo una frase che nasconde la verità. Loro vanno a morire, morire altrove, fuori, in pace, per non essere più un peso, in mezzo alla vita di chi invece sta bene. Non esistono le Nuvole e non esistono posti in cui la gente si nasconde a guardarle e si dimentica di tornare a casa. »
Naeli scosse la testa con gli occhi sbarrati fissi su Haal. « Non è vero! Se fosse morto me lo avrebbero detto! »
« Non si parla mai dei morti » spiegò serio Haal. « Questa è una delle regole della Ecclesia. Mio padre dice che ci si nasconde dietro quella frase innocua per non farsi prendere dalla paura, e non suscitarne nei propri cari. E la si dice solo alla propria famiglia. Per tutti gli altri, i vicini, o i colleghi, quella persona semplicemente cessa di esistere, nella mente e nel cuore. O almeno così dice mio padre, e io mi fido delle sue parole. »
Naeli, però, non volle ascoltare ragione, e prese a gridare con le dita che stringevano spasmodicamente il codino: « Non è vero niente! Mio padre è la fuori con mio nonno; io vedrò le Nuvole assieme a loro e tornerò a casa mia. Non sono morti, mi stanno aspettando! »
« Sei l’unica stupida che ancora non sa queste cose, Naeli! Che crede ancora che suo padre e suo nonno siano semplicemente andati in vacanza! Sei l’unica che crede a questa idea sciocca perché non c’è tuo padre a spiegarti le cose! » le urlò in risposta Haal, pentendosi subito dopo di ciò che aveva detto.
Furibonda, Naeli elargì un violento spintone al ragazzo che, preso alla sprovvista, barcollò all’indietro.
L’umidità della Cripta si condensava sui muri e gocciolava sullo stretto ballatoio, raccogliendosi in pozzanghere insidiose e superfici sdrucciolevoli in parte nascoste dal buio.
Haal scivolò su una di esse e il mondo si rovesciò. Cadde sulla schiena, battendo la testa. Gli mancò il fiato, mentre i polmoni si svuotavano di colpo per l’impatto. Stordito, fece per rialzarsi, ma il pavimento sdrucciolevole lo tradì. Senza più controllò né appigli, Haal rotolò oltre il bordo.
Naeli osservò la scena come intontita, poi si mise a gridare il nome di Haal con tutto il fiato e il terrore che aveva in corpo, e corse al bordo nel punto in cui il ragazzo era caduto di sotto.
Haal era aggrappato una sporgenza poco più in basso rispetto alla passerella. Si teneva con una sola mano, e la sua faccia era una maschera di dolore. Ma era ancora vivo.
Naeli si tolse in fretta lo zaino di dosso e si sdraiò sul cemento, sporgendo il busto oltre il bordo e allungando una mano verso il suo migliore amico.
« Haal » lo chiamò a ripetizione con la voce acuita dalla paura.
Il ragazzo alzò la testa e provò a raggiungere la mano di Naeli con il braccio libero, senza però riuscire a toccarla. La distanza che separava le punta delle dita dei due ragazzi era ancora troppo grande. Naeli tentò di sporgersi di più, ma Haal le gridò di non farlo. Sarebbe potuta cadere a sua volta nel vuoto. Naeli si fece indietro e scoppiò a piangere, implorando perdono.
Haal le sorrise, nonostante avvertisse un dolore infernale che pulsava dentro la sua testa e contro la nuca, e avesse il braccio stanco e le dita intorpidite.
« Trova una corda, qualcosa, per tirarmi su » le gridò.
Naeli si rimise in piedi, completamente spaesata. Non aveva funi, e non ne avrebbe trovate lì. La cosa più simile a una corda che vide fu un lungo tubo flessibile che correva attaccato al muro, per poi sparirvi dentro attraverso un giunto di gomma. La ragazza si avventò contro il tubo dai riflessi sfaccettati e argentati, e tirò con tutte le sue forze. Questo si staccò con un sibilo, vomitando fuori un gas verdognolo e denso che la fece tossire e lacrimare gli occhi già umidi.
Subito corse al bordo e lo calò. Haal l’afferrò forte e si issò sulla passerella facendo leva con le ginocchia sul muro, mentre Naeli tirava puntando i piedi sul cemento. Il ragazzo si lasciò scivolare in salvo con un lungo sospiro. Rimasero fermi lì, entrambi sdraiati con la schiena sul cemento e il fiatone che li scuoteva da capo a piedi.
Dopo un po’, Naeli scoppiò di nuovo a piangere.
« Mi spiace… mi spiace, mi spiace » gemette, con la faccia nascosta tra le ginocchia raccolte. « Se non ti avessi spinto non sarebbe successo niente. Se non fossimo stati qui non sarebbe successo niente. È solo colpa mia… »
Haal si spostò accanto a lei e le prese la mano e la strinse forte.
« Non avrei… Anche se la verità è questa, non meritavi di vedertela sbattuta in faccia così. Mi dispiace. »
Naeli ricambiò la stretta con ancor più energia di lui.
« Mio padre e mio nonno… sono morti, quindi? » mormorò, alzando lo sguardo verso Haal con occhi improvvisamente e dolorosamente consapevoli. « Quando se ne sono andati via non ho potuto nemmeno salutarli. Non avevo capito, e nessuno me lo aveva spiegato. Sono una stupida. Non li vedrò più. »
« Temo che non vedremo più nemmeno quelli che sono rimasti a casa » disse Haal, con la mascella serrata.
Naeli lo guardò senza dire nulla.
« Il tubo con cui mi hai salvato » spiegò Haal, prendendolo in mano e mostrandogliene una sezione che portava una striscia arancione scuro bordata di nero. « Conteneva del gas, lo stesso che aveva invaso i tunnel di servizio dove lavorava tuo padre, quattro anni fa. Lo vedi questo simbolo? Vuol dire “altamente tossico”, e tutti e due lo abbiamo respirato. Credo che siamo destinati a morire. »
Invece della paura, e della disperazione, Naeli si sentì riempire da una cupa rassegnazione consapevole, come se nel profondo di sé avesse sempre saputo che quel viaggio sarebbe stato di sola andata.
« Allora… andiamo a vedere le Nuvole » disse, semplicemente.
« Andiamo » concordò Haal.
Si alzarono, sorridendosi l’un l’altro, in parte rassicurati dal pensiero di essere insieme. Naeli fece per mettersi in spalla lo zaino, ma Haal la trattenne delicatamente per un braccio, dicendo: « Lascialo qui. Non ne avremo più bisogno. »
Naeli assentì con la testa e si avviò.
Mentre camminavano, la ragazza cercò la mano di Haal e la strinse con una intensità che gli mozzò il respiro.
« Qualunque cosa accada » lo pregò lei, angosciata, « non lasciare la mia mano. »
Percorsero l’ultimo corridoio senza fretta. Giunsero a un ultimo incrocio, con due vie che si allungavano alla loro destra e alla loro sinistra scomparendo dopo ampie curve. Si fermarono. Di fronte a loro si ergeva una porta blindata d’acciaio arrugginito, senza insegne o oblò.
C’era un pulsante, sul muro accanto. Naeli fissò Haal per un attimo, poi si allungò per premerlo, trattenendo il fiato.
La porta si aprì, scivolando verso l’alto. Una luce bianca, calda, intensa tanto da far male alla vista, salì aprendosi un rettangolo di soglia sempre più ampio. La luce salì dai piedi dei ragazzi sino alla vita, le spalle e la testa, per poi correre via dietro di loro a illuminare il corridoio come la più elegante delle vie dei quartieri alti, in un gioco di sfavillii rossastri e riflessi metallici. Sia Naeli che Haal portarono la mano libera sugli occhi, per proteggersi dal riverbero.
Uscirono un passo alla volta, intimoriti eppure attratti da quella luce così intensa. Poi videro solo azzurro e bianco. Il primo occupava quasi interamente il campo visivo, riempiendo i loro occhi di colore e aria frizzante, diversa da quella dei corridoi e dei tunnel. Enormi, vari e mobili sbuffi di vapore bianco cotonato si muovevano, correndo e mutando, in tutto quello spazio vuoto eppure meraviglioso e saziante. Era il Cielo.
Nella volta azzurra splendeva una sola e unica lampada, di una forza tale che non potevano guardarla negli occhi, ma che li baciava di luce e calore quali non ne avevano mai provati prima.
Stettero in silenzio, guardandosi intorno, sulla stretta passerella di cemento bruno sul quale si trovavano, appesa alla Cattedrale e sporgente nel vuoto, meno pauroso di quello del Pozzo, forse perché si perdeva nel bianco di quello strano vapore.
« Sono queste le Nuvole! » esclamò raggiante Naeli, stringendo la mano di Haal sempre più forte, come se temesse di perderlo proprio ora.
« Naeli » disse il ragazzo, « mi sento strano… »
Naeli si girò a guardarlo, e non poté che gemere di stupore, perché la mano destra del giovane mutò in vapore, aleggiante nell’aria accanto a lui. La trasformazione salì verso il braccio e la spalla, per poi diffondersi al resto del corpo. Anche Naeli si sentì di colpo strana, e vide che lo stesso stava accadendo a lei. I loro corpi perdevano forma e consistenza, diventando fumo bianco latte, che si librava nell’aria attorno alla passerella come se non volesse separarsene.
Ci volle un attimo ancora, per capire.
« Allora è tutto vero! » esclamò infine Haal, scoppiando in un grido eccitato. « Ritorneremo al Cielo, dal quale veniamo! »
« Ci torneremo mutando in vapore, sotto forma di Nuvole » gli fece eco Naeli, con le lacrime agli occhi per la meraviglia.
Si girò e vide che Haal stava piangendo per lo stesso motivo.
« Restiamo aggrappati a un corpo, al metallo delle nostre case, per poi tornare qua fuori, quando stiamo per morire, per essere mutati in Nuvole, e riunirci a tutti quelli che sono stati qui prima di noi e che sono andati lassù » mormorò, d’un tratto pieno di serenità e di calma. Le lacrime cadevano dal suo viso come pioggia fresca, subito portata via dal vento, come se enormi ventilatori soffiassero da dietro il confine del Cielo.
« Questo non è morire » aggiunse.
« Questo è davvero tornare a Casa. Io sono una Nuvola » disse Naeli.
« Anch’io sono una Nuvola » rispose il ragazzo, continuando a tenerle la mano.
Si lasciarono riempire dalla luce dal vento e volarono via come due cirri leggeri, unendosi al mutevole e peregrino oceano di nubi, vorticando attorno al disco metallico della Cattedrale. Uniti per sempre.