di Stefania Mattana
da I luoghi e i misteri dell’arte,
antologia della Seconda edizione del Premio Letterario “Città di Barletta”.
I
Un’altra esclamazione di assenso, e un’altra bocca che si spalanca: lo so, sono molto bella. E fortunata.
Si ferma tanta gente, davanti a me. Quando leggono la targhetta appostami sotto, poi, si esaltano.
Io, invece, mi esalto nei giorni di sole, quando dalla finestra di fronte riesco a scorgere il grande parco verde che pulsa di vita. Sono stata poche volte all’aperto, ma ancora oggi ricordo la strana sensazione dell’aria quando pizzica le nervature del legno.
Ogni giorno decine di persone mi scrutano affascinate: non ho mai ringraziato mio padre, il mio creatore, per avermi reso così stupefacente. Ma d’altronde, come avrei potuto farlo?
Mi sarebbe piaciuto avere il dono della parola, ma non mi lamento di quello che mi è stato dato, scatenando emozioni con le immagini.
La mia bellezza è talmente incredibile da catturare tutti, pure i bambini; questo ha generato qualche invidia da parte di alcuni miei colleghi del corridoio… Ma ho forse qualche colpa, se mio padre è il grande Raffaello Sanzio?
Capita, di tanto in tanto, che la gente trotti spedita per il museo, tanto affamata di quadri da non fermarsi un istante per catturare la nostra essenza. Beh, io sono una delle poche, qui a Villa Borghese, davanti a cui le persone sostano qualche momento in più: spesso si commuovono, e immaginano la mia genesi.
Se mio padre fosse stato Leonardo, chissà, magari mi avrebbe reso più enigmatica, ma sicuramente non avrei potuto raccontarvi del fardello di dolore che Raffaello ha raccolto dalla sua mecenate; il suo nome era Atalanta Baglioni, una mamma senza sorriso.
Ricordo bene i miei primi istanti di vita, come se questi cinquecento anni fossero trascorsi in un attimo. Era una tiepida mattina di primavera quando fui recapitata nel palazzo dei Baglioni, signori di Perugia. Non ero che un grosso pezzo di legno lavorato, a quel tempo; quattro mani mi sostenevano, mentre transitavo attraverso lunghi corridoi, scorgendo sfarzose stanze arredate con gusto. Superata la corte interna giunsi infine in una camera ariosa, dotata solo di qualche mobile di modesta fattura, dove vidi per la prima volta il mio creatore.
Raffaello era un giovane di corporatura abbastanza esile e dagli occhi vispi color nocciola, della stessa tonalità dei capelli che gli accarezzavano le spalle.
Nei mesi in cui siamo stati insieme ho avuto modo di conoscerlo intimamente, dato che passò con me quasi tutto il suo tempo, parlandomi e raccontando fatti della sua vita, dell’apprendistato, delle sue prime opere da artista di professione, e di quanto ammirasse un certo Michelangelo Buonarroti. Raffaello era un tipo riservato e timido, ma con un’indole particolarmente allegra, soprattutto quando dipingeva. Di lui non sopportavo l’estrema pignoleria, che mi costringeva a continue revisioni e spennellate: guai se gli fosse sfuggito un dettaglio!
Alla sera, invece, il suo buonumore si smorzava, proprio quando le stelle si accendevano in cielo. Seduto alla finestra, Raffaello riempiva papiri e cartoni di schizzi meravigliosi, invocando la luna e il nome di una dolce fanciulla, figlia di un panettiere, di cui era profondamente innamorato.
Fu proprio quella straordinaria sensibilità che lo portò di nuovo a Perugia, alla corte dei Baglioni, mosso dal desiderio di regalare un po’ di serenità a Donna Atalanta, della quale aveva ricevuto la consegna a Firenze per voce di un nunzio viaggiatore.
« Va bene, messeri, mettetela qui, proprio qui. Vi ringrazio » disse lui alle braccia che mi adagiavano al muro. Si avvicinò a me, estasiato. Mi girò attorno, guardandomi con la stessa espressione che qualche visitatore usa porgermi ancora oggi. Poi prese a parlarmi, battendo le nocche sul legno.
« Eh sì, sarai una gran bella pala, mia cara! » esclamò brioso. « Non vedo l’ora di farti vedere alla mia committente! Magari, così spoglia come sei ora, lei non ti apprezzerà come posso farlo io, ma di sicuro approverà i miei nuovi disegni. Guarda, ti piacciono? » mi disse frenetico, mostrandomi confusamente una marea di fogli presi dal tavolo, mentre due colpi all’uscio anticipavano l’apertura della porta.
« È permesso? » chiese una flebile voce.
« Avanti, mia signora, avanti! » rispose impettito Raffaello, aggiustandosi il berretto sul capo. « È la tua futura padrona, è Atalanta Baglioni! » bisbigliò poi, rivolto a me.
Una figura sottile e sinuosa avanzò verso di noi; il suo incedere era leggero e silenzioso.
Raffaello si piegò in una buffa riverenza, alla quale la donna rispose con un grazioso inchino.
« È un onore avervi di nuovo a Perugia, caro ragazzo. Il vostro illustre maestro Perugino vi ha caldamente raccomandato; ho visto le meraviglie che riuscite ad esprimere con il vostro talento, e sono certa che non mi deluderete. »
Vidi le guance di Raffaello avvampare, mentre Donna Atalanta si accomodava su una semplice seggiola.
« Mia signora, non sedetevi lì! Questa sedia è troppo modesta e traballante per una matrona del vostro rango! Vi faccio portare una poltrona? » si scusò l’artista.
« Non c’è motivo di preoccuparvi, mio caro Raffaello: questa sedia è più che sufficiente » rispose lei. « Piuttosto, spero che la vostra sistemazione nella mia dimora vi aggradi e che possiate trascorrere un sereno soggiorno. »
Sebbene la voce della donna fosse delicata e affabile, sul suo volto segnato dal tempo non vi era traccia di alcun sorriso.
Raffaello annuì timidamente e si accinse a presentarle i suoi studi sull’opera da dipingere; tra tutti i progetti, ne aveva scelti solo un paio.
Sul primo papiro vidi raffigurato un uomo seminudo e ferito che giaceva per terra, probabilmente morto. Attorno a lui diverse persone piangevano disperate; poco distante due fanciulle reggevano una donna addormentata, mentre una terza cercava di destarla dal suo sonno.
« Vi piace, mia signora? Dapprima ho pensato di rappresentare solo il Cristo già morto, circondato dagli Apostoli e dalla Maddalena; poi ho pensato di aggiungere anche lo svenimento della Vergine, per aumentare la tensione emotiva. »
Gli occhi di Raffaello fissavano quelli di Donna Atalanta, alla ricerca di un segno di assenso.
Chissà su cosa meditava, in quei momenti, quella signora dall’aria così impassibile!
Anche io, come il mio creatore, avrei voluto leggerle la mente.
Donna Atalanta scrutò il disegno, le labbra serrate, fino a quando Raffaello impugnò un altro progetto e spezzò il silenzio.
« Guardate questo, invece. L’ho tenuto per ultimo perché è il mio preferito. In tutta modestia, credo che questa idea sia la migliore, come trasposizione dei sentimenti terribili che avete provato quel giorno. »
Nello schizzo figuravano le stesse persone che nell’altro disegno piangevano il Cristo, con la differenza che in questa bozza essi reggevano il suo corpo, come se lo stessero trasportando verso una caverna posta all’estremità del disegno, che Raffaello continuava a chiamare sepolcro. Sul lato opposto alla caverna, le stesse donne dell’altro tratteggio reggevano la Vergine svenuta.
Atalanta studiò il progetto, poi la sua espressione seria si addolcì lievemente, allorché si rivolse al pittore.
« Raffaello, avete quindi appreso perché vi ho commissionato questa opera, nevvero? »
« Certo, mia signora; il Perugino e il vostro messo mi hanno istruito a dovere. »
« Davvero? Allora non avrete timore nel riportarmi le parole del vostro maestro. »
Raffaello si tolse il berretto, e prese a passarlo da una mano all’altra, nervoso.
« Veramente, mia signora… il Perugino mi ha raccomandato caldamente di non parlare dell’argomento con voi, giacché siete ancora assai turbata da quanto è accaduto a vostro figlio. »
La donna prese un respiro profondo, come se stesse raccogliendo tutte le sue forze.
« Come avete saputo, sette anni fa mio figlio è morto, ucciso dal suo stesso sangue. Benché non abbia mai accettato ciò che egli ha compiuto durante la sua vita, Grifonetto se n’è andato nella grazia del Signore, e io desidero sia ricordato attraverso un dipinto che vivrà in eterno. Questo secondo disegno andrà benissimo, e sono già impaziente di vedere la pala dipinta. Avete forse qualche riserbo, se talvolta passassi a guardarvi lavorare? »
« No, no di certo, mia signora, tutt’altro! La vostra presenza mi riempie di orgoglio! » esclamò entusiasta il mio pittore.
Quando Donna Atalanta si congedò, Raffaello aprì le braccia su di me, come per abbracciarmi, inebriato dall’eccitazione; poi, però, si rabbuiò al pensiero di gioire per la commissione di un’opera così penosa. Per Raffaello io rappresentavo una ghiotta occasione per affermarsi come grande artista: se fossi stata magnifica, magari lo avrebbero chiamato a Roma, chissà, e forse un giorno sarebbe anche riuscito a dipingere per il Papa in persona! Sì, il mio creatore aveva tanti sogni nella tavolozza dei colori quanti erano i pennelli che aveva in dotazione per tracciare il suo luminoso destino.
« Sai, mia bella pala, voglio che tu sia speciale. Devi diventare così bella da togliere il fiato, sebbene la tua anima incarni quanto di più truce e straziante un uomo possa vedere su questa terra, te lo prometto » mi disse poi.
Né io né Raffaello conoscevamo la storia di Grifonetto Baglioni, ma l’avremmo scoperta molto presto.
II
Un ditino paffutello si protende verso di me: piccolo bimbo, stai attento, non toccarmi!
Se lo farai, le guardie del museo ti porteranno via da me, e non ti vedrò mai più! A dire il vero, sono pochissime le facce che ho visto almeno due volte, da quando mi hanno appesa a questo muro romano. Nel profondo, però, vorrei che quel bambino mi sfiorasse, almeno per un momento: sentirei di nuovo il vibrante pulsare della vita umana, lo stesso che la spatola trasmetteva quando Raffaello stendeva l’olio sul mio legno.
Ho amato i pomeriggi spesi a creare la natura sul mio sfondo: l’autunno colora i paesaggi campestri che intonano le loro ultime note, prima di spegnersi con il freddo dell’inverno. Raffaello sapeva esaltare anche gli elementi più semplici, come le nuvole: una di esse, quella più grigia, è posta sulle tre croci che svettano in secondo piano, in cima a un colle. Ammiravo la sua sicurezza nel domare ombre e colori, ma sopratutto adoravo quando mi parlava, come se anche io avessi due mani e il viso imbrattato di olio, proprio come lui, e potessi rispondergli.
« Diventi sempre più graziosa, pala mia! » mi disse un giorno. « Il tuo sepolcro è quasi concluso, ma attenderò che arrivi dell’altro colore di terra di Siena, prima di completarlo. Nel frattempo, dimmi, ti piacciono le ortiche che ti ho fatto crescere qui, in primo piano? Cosa hai detto? Dolce pala, come sei giovane a questo mondo! Le ortiche rappresentano il male che cresce in seno all’animo umano, laddove si pensa non possa svilupparsi, proprio come nel terreno arido che sto portando a termine sul tuo legno. Tu mi chiederai: perché gli Apostoli sono davanti ad esse, ma non le schiacciano? »
« Perché il male c’è sempre stato ed esisterà fintanto che l’uomo popolerà questa terra; anche se lo si estirpa da una parte, questo risorge in altre forme, e il suo odio si moltiplica, a guisa dell’erba cattiva. »
Al suono di quella frase, Raffaello trasalì spaventato: io avevo visto entrare di soppiatto Atalanta Baglioni, ma lui no, dato che dava le spalle alla porta, intento a dipingermi un fine alberello.
« Vi ho spaventato, Raffaello? Non voleva essere mia intenzione. Perdonatemi se ho ascoltato il vostro discorso di soppiatto, ma credevo di farvi un favore rispondendo al vostro quesito… non credo che questa pala di legno vi avrebbe mai risposto, invero. »
« Donna Atalanta! Voi non spaventate mai, mia signora! Io, sì, ecco… A volte mi piace narrare qualcosa di me alle mie opere: ho come la sensazione che esse un giorno prenderanno la parola e racconteranno a qualche ignoto ciò che noi oggi stiamo vivendo. Ma vi prego, non ridete di questo » rispose lui, grattandosi il capo con la punta di un pennello. Atalanta lo accarezzò maternamente sul grembiule, accostando una sedia vicino a me.
« Non rido, caro ragazzo, non preoccupatevi. Prego, Raffaello, continuate pure a lavorare. »
Continuai a essere coccolata con i toni delicati dell’azzurro e del beige, mentre Donna Atalanta riempiva l’aria con un canto tanto amaro e sconsolato che se fossi stata una tela, credo mi sarei lacerata. A un certo punto Raffaello smise di solleticarmi con le setole, e si voltò verso di lei.
« Mia signora, vogliate perdonare la sfrontatezza, e vi porgo già da ora le mie scuse per quello che non mi trattengo dal domandarvi. Perché non intonate un canto gioioso? Comprendo il dolore per la perdita di vostro figlio, ma stento a credere che siate sempre stata una matrona cupa e infelice. »
Rimasi stupita per le parole di Raffaello: per quanto fosse anomalo che un mecenate facesse compagnia al suo artista mentre esso dipingeva, l’azione del mio pittore era stata tanto audace quanto impertinente! Atalanta parve colpita dalle parole schiette di Raffaello; come un timido raggio di sole, sembrava che l’impudenza di quel giovanotto avesse riscaldato la prigione di ghiaccio in cui si era chiusa.
La donna abbassò il capo, lo sguardo fisso sul marmo del pavimento.
« Avete ragione, Raffaello: un tempo vivevo felice, circondata dall’affetto della mia famiglia. Ero ricca e potente, proprio come lo sono adesso; in quel tempo, però, mai avrei pensato di vedere la mia famiglia distruggersi con le proprie mani. Oh, come rimpiango le feste e i lieti eventi! L’ultimo giorno felice che rammento è il matrimonio del povero Astorre con Lavinia Colonna… Come vorrei dimenticarmi di quello che successe dopo! »
Mentre definiva con cura gli angoli e i chiaroscuri del mio scenario, Raffaello immaginava le nozze dei due giovani sposi; anche io vidi con nitidezza quelle allegre scene, come se le parole di Atalanta avessero preso vita.
Era il 28 giugno del 1500, e tutta Perugia si era svegliata in festa: fiori bianchi e rossi adornavano i balconi e gli archi del centro, così come le modeste case dei cittadini e le botteghe degli artigiani. Le più nobili casate dell’aristocrazia italica erano state convocate in città per partecipare ai festeggiamenti delle nozze. Questo sposalizio costituiva l’evento festaiolo e politico più importante degli ultimi tempi: infatti, i due promessi sposi non solo erano vivaci protagonisti della vita mondana, ma la loro unione avrebbe sancito un nuovo corso in seno agli equilibri di potere tra i signori di Perugia e una delle famiglie più importanti di Roma.
Astorre Baglioni, figlio del grande Guido, era un condottiero noto per il coraggio e l’astuzia; baldanzoso e aitante, si era guadagnato la fama di impietoso tagliagole dopo aver decimato con il proprio esercito la famiglia Oddi, da sempre rivale di quella dei Baglioni per il dominio di Perugia. Giovane non bello, ma affascinante, era stato conteso da diverse fanciulle e dalle relative famiglie, che vedevano in lui una valida protezione in caso di guerra. La fortuna di toccargli in sposa, però, fu solo di Lavinia Colonna, secondogenita di uno dei ricchi conti Colonna, padroni di mezza Roma e aspiranti al trono dello Stato papale. Lavinia aveva solo quattordici anni quando si unì in matrimonio con Astorre, molto più grande di lei.
« Tuttavia vi posso assicurare che nei suoi occhi bruciava il fuoco della passione. Mio nipote Astorre era un uomo implacabile e rude con i nemici, ma possedeva anche un’indole mansueta. Sarebbe stato un padre premuroso e un marito dolce, perché dal primo momento che vide Lavinia se ne innamorò perdutamente » disse Atalanta, la voce spezzata.
« Forse vostro nipote è morto in battaglia? » domandò Raffaello con ingenuità. Povero il mio pittore, sempre chiuso nel suo studio tra le sue creazioni! Non aveva saputo nulla della triste sorte dei due giovani.
Donna Atalanta scosse il capo, come a cancellare un’immagine orribile, e si concentrò sulla magnificenza delle nozze, che Guido Baglioni aveva voluto di enorme splendore, per dimostrare alle altre casate la fierezza e l’orgogliosa egemonia dei signori di Perugia.
« Mio caro ragazzo, quanto avrei voluto conoscervi in quegli anni, a ché poteste ritrarre per sempre quel trionfo! » continuò Atalanta. « Bellissime fanciulle danzavano per le strade e lungo le mura, lanciando petali e cantando soavemente. Nella piazza centrale erano stati imbanditi tavoli colmi di ogni ben di Dio. Lungo la via principale sfilavano grossi carri dai quali i bambini porgevano manciate di confetti ai cittadini! E che dire dei doni! Pietre preziose, stoffe esotiche e broccati lussuosi: tutte le maestà dell’Europa fecero a gara per regalare l’oggetto più ricco. » Atalanta raccontò poi di come i festeggiamenti si fossero protratti per ben quindici giorni, mentre gli sposi si godevano l’affetto dell’intera città, degli amici e dei loro alleati.
« È allora vero, mia signora, che non siete stata sempre tal triste come adesso apparite! » commentò Raffaello, dinanzi a una narrazione così beata. La debole luce negli occhi di Donna Atalanta si spense con quelle parole, tanto da indurre Raffaello a sedersi anch’esso.
« La felicità è un effimero istante che viene sempre schiacciato dall’odio » disse fredda lei. Il suo viso passò prima su di me, vacuo, poi sul pittore.
« Voi avete mai sentito parlare delle Nozze Rosse? » domandò Atalanta; Raffaello parve trovarsi in difficoltà, davanti a quel quesito.
Non appena Donna Atalanta si congedò (ricordo molto frettolosamente, pallida in volto), Raffaello mi confessò che si era sentito molto sciocco: era venuto a conoscenza di un tragico evento chiamato con quel nome, ma nella sua bottega era sempre troppo preso dai suoi quadri per informarsi sulle vicende cittadine. La notizia di quel fatto si era sparsa fino a Firenze, ma anche lì, quando i curiosi lo interrogarono a riguardo, non seppe rispondere.
III
La mattina seguente Raffaello si presentò al mio cospetto con un’aria stravolta, distrutto; non lo avevo mai visto così spento. Venne fuori che la sera prima era stato in una bettola, con dei vecchi amici di bottega. Aveva bevuto troppo, e i postumi gli avevano lasciato un fastidioso cerchio alla testa. Speravo che avesse la forza di dipingermi, perché attendevo con ansia che iniziasse a lavorare sui corpi dei personaggi disegnati, dato che lo sfondo era stato interamente concluso.
« Ne è valsa la pena, cara pala! » mi fece, massaggiandosi le tempie. « Non solo il vino di queste parti è sempre ottimo, ma sono riuscito a farmi raccontare quanto accadde durante le Nozze Rosse. »
Nonostante la sua sfacciataggine, era chiaro che Raffaello non aveva intenzione di chiedere a Donna Atalanta ulteriori informazioni a riguardo. Mi diede un’occhiata generale, le labbra arricciate su un lato del viso.
« Questo Cristo non avrà il viso che avevo pensato. Quel Grifonetto Baglioni e la sua compagnia! Tu non sai cos’ha fatto, pala mia. Come ha potuto arrecare un così grande dolore a sua madre e a così tante persone? No, il suo viso non sarà quello di Nostro Signore. Grifonetto sarà questo personaggio qui, in primo piano, che regge i piedi del Cristo. Che Dio lo abbia in gloria, ma non merita di essere niente di più. E se Donna Atalanta non dovesse gradire, porterà pazienza! » Poi aggiunse, mogio: « Oppure porterò pazienza io, e non vedrò il becco di uno scudo. »
Il mio creatore sembrava molto turbato. Le sue pennellate erano nervose e decise, come se sfogasse lo sdegno su di me. Infine, mentre definiva l’incarnato esanime del Cristo, prese a parlare di nuovo, mettendomi a conoscenza dell’orribile tragedia.
Astorre e Lavinia vissero ben poco felici: infatti, quando il sole calava e i festeggiamenti si interrompevano, una parte della famiglia tramava alle loro spalle.
La mente avida e spietata a capo della congiura era quella di Carlo Oddo, il quale, mosso dall’invidia, riuscì con abili manovre a convincere alcuni membri della casata a congiurare contro Astorre e i suoi alleati. Tra i tanti, Grifonetto Baglioni spiccava per entusiasmo e incoscienza; assieme a suo cugino Filippo si macchiò dell’efferatezza più grande.
All’alba del 15 luglio, terminati i festeggiamenti, il manipolo di traditori attaccò il palazzo della famiglia a spade sguainate; numerosi Baglioni furono trucidati come bestie, così come le loro donne con i bambini. Anche i capostipiti e i valorosi condottieri furono falcidiati impunemente.
Filippo e Grifonetto strisciarono all’interno delle stanze nuziali, e sorpresero i due sposi nel sonno. Grifonetto acchiappò la bionda chioma di Lavinia, strappandogliela; poi la tenne ferma con un piede, di modo che vedesse Filippo trafiggere Astorre, ucciso lentamente tra enormi sofferenze. Infine, Grifonetto tagliò di netto la gola di Lavinia.
Ebbri di follia, i due non frenarono la loro ferocia: Filippo strappò il cuore dal petto di Astorre e lo prese a morsi; poi lanciarono i corpi degli sposi dal balcone, e li trascinarono con orgoglio per tutta la città, lasciando dietro di sé rivoli di sangue innocente.
« Che orrore, pala! » commentò Raffaello. « Quale mente cieca può usare tal terribile violenza sulla propria famiglia? Pare che, in seguito a questi fatti, Donna Atalanta abbia ripudiato suo figlio e si sia ritirata dalla vita pubblica. »
Il dignitoso dolore del Cristo deposto si stava delineando tra le mie venature, e il suo viso straziato era quello dei Baglioni scampati all’eccidio, che piangevano i loro morti.
Continuavo a domandarmi come mai Donna Atalanta mi avesse fortemente voluto per rimembrare la figura del suo figliolo assassino, e credo che se lo chiedesse anche la vivace mente del mio creatore.
La risposta venne un caldo pomeriggio, mentre Raffaello completava proprio la figura di Grifonetto.
« Mio figlio era bello come il sole, sapete? » iniziò, rivolta all’artista. « Era dotato di un’eleganza e di un’avvenenza che lo faceva risplendere tra tutti. Mi piace che lo abbiate ritratto magnifico proprio come era, e mi riempie di serenità sapere che la sua anima avvelenata dal male si sia redenta in punto di morte, per ascendere nei Cieli. »
« Vostro figlio si è dunque pentito? » domandò lui, curioso.
« Sì, mio caro Raffaello. Come uso dire sempre, il male non si estirpa più, una volta germogliato. Così, anche Grifonetto è morto per mano di suo zio Gian Paolo, che riuscì miracolosamente a sfuggire al massacro. »
Raffaello asciugò in silenzio i suoi pennelli, mentre le guance di Donna Atalanta si bagnavano di lacrime.
Ai perugini non piacque l’atto di forza dei Baglioni ribelli, per cui non ebbero esitazioni nell’aprire le porte delle mura ai soldati di Gian Paolo. Per loro non fu difficile trovare Grifonetto e portarlo di peso presso la piazza principale, dove lo aspettava suo zio. Egli dichiarò che non sarebbe mai stato un traditore come il nipote, e per non sporcarsi le mani comandò ai suoi soldati di uccidere Grifonetto con due colpi di spada.
« Vidi con i miei occhi mio figlio accasciarsi al suolo, trafitto dalla lama. Avevo assistito alla morte di tante persone, ma mai la disperazione fu così lacerante come in quegli istanti. Anche sua moglie Zenobia, come me, si gettò su di lui, piangendo amaramente. Sulle nostre vesti il rosso scarlatto si mischiava al fango delle pozzanghere, così come l’anima di Grifonetto era stata macchiata dalla scelleratezza delle sue gesta. “Pentiti, figlio mio, abbi pietà del tuo spirito!” gli dissi mentre rantolava.
Nonostante non potesse parlare, Grifonetto riuscì ugualmente a dimostrare il suo rimorso: prese la mia mano e quella di Zenobia, e le strinse con le sue ultime forze, appena prima di spirare. Il mio povero figlio! » singhiozzò forte la donna.
Raffaello si voltò verso di me, cercando una risposta; impacciato, strinse a sé Atalanta, impiastricciandole l’abito con il grembiule unto dai colori. La sua goffaggine, però, le strappò un tenue sorriso: in quel momento, vidi davvero quanto il viso di Grifonetto assomigliasse a quello della madre.
IV
Ricordo la tristezza del mio creatore, quando Atalanta lasciò la stanza, come se il suo pianto sconsolato avesse consumato tutto il suo brio.
Raffaello era talmente dispiaciuto e colpito dalla storia di Grifonetto e di sua madre, che decise di rendere loro ulteriore omaggio.
Lavorò alacremente su di me giorno e notte, quasi senza sosta, con una luce brillante negli occhi. Sentivo il suo talento scorrere sulle spatole mentre apportava modifiche e definiva nuove linee.
Nemmeno la debole luce delle candele gli conciliava il sonno, così come le afose giornate d’estate non sopivano il suo zelo.
Infine, Raffaello convocò Donna Atalanta, annunciando il termine del lavoro.
Quando il pittore mi tolse di dosso il telo, fui la prima a vedere il volto estasiato di Atalanta, che tremava per l’emozione. Subito notò ciò che Raffaello aveva voluto rappresentare al centro del dipinto, e si voltò di scatto verso di lui, riconoscente.
« La mano della Maddalena! Voi… voi… » balbettò.
« Ho pensato che avreste gradito, se il gesto di vostro figlio fosse ricordato proprio sulla pala dedicata a lui! » commentò soddisfatto Raffaello.
« Siete impagabile! Spero che possiate diventare un artista talmente illustre da essere ricordato per sempre! » esclamò poi Atalanta. Per la prima volta, vidi un vero sorriso sorgere sul suo volto: forse, Donna Atalanta si era liberata delle fredde catene del suo lutto.
Ragazzo dai capelli rossi, perché gesticoli così tanto? Forse stai spiegando ai tuoi amici la disposizione dei miei soggetti, la data della mia nascita, l’origine del mio nome.
Deposizione Baglioni: chissà come mai, eh? Mi viene da ridere, se penso a tutto quello che ho sentito dire, alle congetture e alle fantasiose interpretazioni! Sì, cari visitatori, leggete le guide, ascoltate le voci narranti di quelle strane cuffie: ciò che vedete in me è il dramma di una madre a cui per ben due volte è stato strappato il figlio prediletto; prima dalla cupidigia, poi dalla vendetta.
Quella che non vedete dipinta è la serenità che sono riuscita a donare a quella stessa donna ormai senza più lacrime: si era arresa all’idea di vivere il resto della sua vita in balia della disperazione. Poi, però, è arrivato Raffaello, che con le sue mani ha trasformato il dolore, plasmandolo in altro. È bastata una tavolozza di colori e me, una semplice pala di legno.
Eppure, talvolta mi sembra che alcune persone, guardandomi, riescano a toccare l’impalpabile quiete conquistata da Atalanta Baglioni; è questa la mia forza, ciò che mi preserva dall’usura del tempo, rendendomi eterna: la speranza.