7 Marzo 2020

10 Settembre ’43

di Cosimo Ugo Paolo Miccoli

da I luoghi e i misteri dell’arte,
antologia della Seconda edizione del Premio Letterario “Città di Barletta”.

Aprì il cancello con un calcio e, dopo il via libera di Russo, si mosse all’interno del giardino per guadagnare la protezione della parete antistante.
La villa era grande, ma altri uomini erano stati piazzati ai due angoli della recinzione posteriore.
Fece cenno ai ragazzi di muoversi, quando si udirono dei colpi di pistola. Li fermò. Qualcuno aveva sparato dalle finestre: erano stati scoperti. Il commissario decise di avanzare da solo. Strisciò lungo il perimetro dell’edificio e non appena ebbe girato l’angolo vide due uomini armati.
Un altro aveva tra le mani un oggetto rettangolare, imballato accuratamente, e cercava di caricarlo su una BMW con il motore già acceso.
Dal tetto della villa arrivarono altri proiettili.
Fortunatamente Russo lo aveva raggiunto. Bastò uno sguardo a fargli capire cosa fare. Attese che girasse intorno al lato ovest dell’edificio così da accerchiare i tre e bloccarne ogni via di fuga.
Si lanciò verso l’autovettura mentre già le luci della retromarcia si erano accese.
« Fermo o sparo! Polizia! » gridò Fabianelli, puntando la sua calibro nove sulla nuca dell’uomo alla guida.
I tre non fecero resistenza, anche perché di fronte alla BMW comparve immediatamente Russo con un’espressione poco rassicurante.
Dall’ingresso principale della villa si precipitò un quarto amico, armato con un fucile e convinto di farla franca.
Appena lo vide il commissario aprì il fuoco colpendolo alle gambe.
In caserma i quattro uomini furono riconosciuti: uno di loro, Antonio Coppola, era ben noto alle forze dell’ordine per traffico di droga e di opere d’arte.
Anche in quell’occasione non si era smentito.
L’imballaggio, che prima aveva visto, conteneva un quadro: un viso di donna dai capelli castani, incorniciato da un cappellino viola.
« Scrivi, Galli » dettava il commissario Fabianelli. « Viene recuperata opera d’arte non identificata delle dimensioni di cm 70 x 60 e grammi 450 di cocaina, già divisa in ovuli per la commercializzazione, in vano ricavato dietro la plancia dell’autovettura. Rileggi per cortesia. »
« Viene recuperata… delle dimensioni… grammi 450… per la commercializzazione, in vano ricavato dietro la “pancia” dell’autovettura. »
Galli aveva di nuovo le mani sulla tastiera pronto a battere il resto del verbale.
« E inoltre » riprese Fabianelli, che fece volutamente una pausa che sembrò non finire mai.
« E inoltre? » chiese Galli.
« E inoltre… tu sei uno stronzo! »
« Maledizione! » gridò. « Vuoi ascoltare quello che dico o almeno verificare che ciò che scrivi abbia una logica? Fanculo! » Galli era pallido mentre con gli occhi già ricercava l’errore, che non avrebbe mai individuato.
« Lo sai che risate si fanno ad Arezzo, quando leggono la “pancia” dell’autovettura? »
« Commissario, scusi, io… »
« Scusi un bel… » Fabianelli si trattenne. « Galli, smettila! Il problema è che la gente crede che queste cose succedano solo nei romanzi! Invece qui ci sono almeno dieci persone che non sanno scrivere! »
« Commissario, dovrebbe venire un attimo di là. » La voce era quella di Russo che si era appena affacciato sulla porta dell’ufficio.
« Che succede? »
« Nulla, è solo che abbiamo smontato la cornice e… »
« Droga anche li? » chiese il commissario.
« No, ma ci sono dei documenti interessanti. »
Fabianelli pensava di mettere le mani su qualche registro della mala, su un elenco dell’organizzazione, ma si trovò di fronte a due fogli ingialliti e arrotolati.
Russo li aveva già letti. La grafia era quella delle vecchie cartoline e la data riportata era 10 settembre 1943.
« Di che si tratta Russo? » chiese Fabianelli, prendendoli tra le mani.
« È strano, commissario, sembra una lettera privata. È firmata da un certo tenente Scelzi e indirizzata a una donna, forse la sua compagna, sua moglie. »
« Ma il quadro è rubato? Avete controllato? »
« No, il quadro non figura in alcun elenco, ma il nucleo delle opere d’arte dice che si tratta di un’opera di valore, è del De Nittis. »
« E chi sarebbe? »
L’ispettore raddrizzò la schiena, come sempre faceva quando si compiaceva di sapere qualcosa più dei suoi superiori.
« Un artista dell’Ottocento, molte delle sue opere sono a Barletta, città in cui nacque e da cui… »
« Va bene, Russo! Basta! Basta! Ogni volta che troviamo qualcosa mi fai la lezione di storia dell’arte! Che palle! »
Quello si strinse nelle spalle, mentre vedeva un sorriso divertito sul viso di Galli, che non sfuggì al commissario.
« La pancia dell’autovettura, eh? Ridi, Galli, ridi pure! Hai fame? »
Fece cenno di sì.
« Bene, adesso io vado a farmi un panino e tu mi riscrivi tutto. Appena torno, trascriveremo anche la lettera. »
« Ma commissario, sono le otto… » obiettò quello.
« Metterai in “plancia” qualcosa non prima delle 23… e non voglio sentire una parola! »

Mia devotissima Rosa, siamo ormai circondati dai tedeschi. Le poche forze che abbiamo non ci permetteranno di resistere a lungo […] Il colonnello Grasso, che per tutti noi è più di un padre, non manca di sostenerci ogni ora, ogni minuto. Dio solo sa cosa ci aspetta, quando quelli saranno in città. […] Qualunque sia il mio destino, voglio sperare di riabbracciarti. Se questa lettera ti arriverà, dovrai essere grata al capitano Sereni, cui l’ho spedita, nascosta in un dipinto da mettere in salvo. Ho ricavato una fessura nella cornice. È piccola, ma vi ho nascosto tutto il mio amore e la mia speranza.
Tuo amatissimo Michele.
Barletta, 10 settembre 1943

Il commissario aveva letto l’ultima parte della lettera con evidente commozione. Come tutti i documenti del passato quel manoscritto suscitava un rispetto quasi sacro, tanto più per aver custodito i sentimenti di un uomo nel pieno di una guerra e forse l’ultima testimonianza d’amore per la propria donna.
Anche Galli aveva gli occhi lucidi, ma non era certo questo il motivo per cui aveva commesso almeno dieci errori di ortografia.
Fabianelli ci passò sopra. La piccola scoperta lo aveva incuriosito e forse distratto dalla solita routine di droga e criminali. Non avrebbe fatto cadere di nuovo nell’oblio quelle righe: anche suo padre aveva partecipato alla resistenza ed era stato catturato dai nemici. Sua madre lo aveva aspettato due anni e fortunatamente lo aveva rivisto. Sperava che per Rosa fosse andata allo stesso modo. Lo avrebbe verificato. La bellissima dama del ritratto gli parve essere d’accordo. Nel suo sorriso, che prima non gli era sembrato così elegante, lesse una nota d’approvazione. Aveva un nome da ricercare, Michele Scelzi, e un quadro da identificare.
Il nucleo T.P.A. (Tutela Patrimonio Artistico) dei carabinieri di Firenze gli rispose dopo circa dieci giorni. Il quadro in effetti non risultava tra le opere d’arte rubate, e non aveva neanche un nome. Era descritto però tra i documenti di trasporto di un carico partito da Barletta poco prima di un eccidio che si era consumato in quella città nella metà del Settembre del ’43. Si trattava di un dipinto separato dal resto della collezione e conservato nella caserma Carli, poco prima che fosse dato l’ordine di trasmettere a Bari tutti i documenti sensibili e i valori in essa contenuti. La ricerca, riportava la nota dei carabinieri, aveva richiesto un accesso alle carte dell’Archivio di Stato di Bari, secondo cui il proprietario dell’opera era adesso il Comune di Barletta. Viceversa nulla era stato rinvenuto su Michele Scelzi. Le sue tracce si perdevano a Piacenza. Il giovane tenente era stato trasportato lì, come prigioniero, dopo aver resistito all’assedio conclusosi il 12 settembre, insieme al suo colonnello, che era da lì finito in un lager, lo Stalag 367, nei pressi di Cestocova.
Difficile dire se il tenente avesse seguito il suo comandante o fosse stato smistato in un altro campo di prigionia.
Andrea Fabianelli, aveva appena ricevuto un encomio dal prefetto di Arezzo per l’operazione compiuta, ma la vicenda della lettera forse non si sarebbe mai dipanata.
« Commissario » Russo entrò nella stanza con un fax, « la TV vorrebbe un’intervista sull’operazione. Ormai in provincia non si parla che di questo quadro. È arrivata anche la RAI! »
« Va bene! La facciamo! » disse sbuffando. « Allestite tutto per domani. Peccato, Russo » aggiunse il commissario sventolando la nota trasmessa dal T.P.A., « del quadro sappiamo quasi tutto, ma del povero tenente… »
« Magari è tornato a casa, è sopravvissuto » disse Russo.
« Dici? » disse il commissario dubbioso. « Qui è scritto che il suo capo finì in un lager, non credo lui abbia avuto sorte mi­gliore. »
« Che dici, Galli? » domandò il commissario al suo attendente che stava trascrivendo Dio sapeva che cosa.
« Dico » rispose quello, sollevando gli occhi dallo schermo, « che se ci mettiamo a fare “C’è Posta per te” abbiamo finito di campare! »
Fabianelli e Russo si guardarono e si capirono al volo, come sempre.
« Sai che ti dico, Galli? » disse il commissario.
Il poveretto già si aspettava un rimprovero e nuovamente interruppe il suo lavoro.
« A volte ti sottovaluto! Mi sa che per quest’idea ti meriterai una bella licenza premio. »
Il giorno seguente Fabianelli illustrò nella conferenza quali erano stati i passi dell’operazione “Coca d’autore”. Quando vide il nome che le era stato attribuito dal questore, come al solito allargò le braccia: davvero non capiva perché la questura scegliesse ogni volta delle denominazioni così strane. Dopo aver parlato del Coppola e della cocaina, si soffermò sul dipinto, collocato in bella mostra su un cavalletto, accanto alle armi, ai documenti falsi e ai panetti di coca.
« Con grande sorpresa abbiamo rinvenuto questo capolavoro del De Nittis. Sarà restituito al Comune di Barletta, da cui in qualche modo partì nel settembre del ’43, senza mai arrivare a destinazione. Presumiamo che il carico di cui faceva parte sia stato intercettato dai tedeschi e chissà come finito nelle mani di privati. »
« A chi era destinato, commissario? » chiese una giornalista di una rete locale.
« Non è possibile dirlo con certezza » rispose Fabianelli. « È un’opera di valore, la sua quotazione non è inferiore ai 300 mila euro. L’organizzazione criminale sicuramente avrebbe lucrato sulla sua vendita, che di per sé è un illecito. »
Il commissario interruppe le domande.
« Vorrei dedicare quel che resta del nostro tempo per farvi conoscere un mistero legato a quest’opera. Nell’ispezionarne la cornice i miei collaboratori hanno ritrovato una lettera scritta nel settembre del ’43 da un militare di nome Michele Scelzi di stanza a Barletta, indirizzata a una donna di nome Rosa. Non è stato possibile risalire alla sorte del tenente, né rintracciare la signora. Cogliamo l’occasione per lanciare a lei, o a chiunque altro per lei, un invito a contattarci. »
« Cosa c’è scritto? » la domanda arrivò contemporaneamente da più di uno dei cronisti.
« Signori » disse il commissario con un sorriso, « la corrispondenza è personale. Conoscete l’articolo 15, no? Volete farmi commettere un reato? »
Al termine della registrazione, come sempre faceva, chiamò suo padre. Sapeva quanto ci tenesse a vederlo in TV. Questa volta poi il servizio avrebbe avuto eco sulle reti nazionali, gli avevano assicurato gli operatori, proprio grazie a quel curioso ritrova­mento.
« Babbo, non perderti il Tg1! » disse dopo le solite domande sulla sua salute.
« Cos’è stavolta? » chiese quello.
« Abbiamo trovato insieme alla droga un dipinto, con dentro una lettera di guerra, firmata da un militare di Barletta, forse finito in Germania… internato, poverino. »
« Ohi Ohi! » lo sentì dire. Sapeva che la notizia l’avrebbe colpito, anzi temeva di riportargli alla memoria i suoi brutti ricordi di soldato.
« Si chiamava Michele, babbo… Michele Scelzi, ma non c’è traccia di dove sia finito. »
Dall’altro capo del filo non udì nulla. Il silenzio lo spaventò.
« Babbo, non stai bene? Rispondimi! »
Dopo dieci secondi che sembrarono durare una vita, il vecchio con la voce tremante cercò di dire qualcosa, mista alle lacrime che arrivavano chiarissime alle orecchie del commissario.
« Andrea… io… Michele… mio Dio, non è possibile… »
« Babbo, calmati, respira, cosa stai dicendo? »
« Il Pugliese… oh, poveretto… » il vecchio piangeva. « Io… io… Andrea mio, forse lo conoscevo! »
Il commissario subito dopo pranzo partì per Ortonovo.
Mentre guidava non gli sembrava possibile quanto aveva sentito. Il padre forse si sbagliava, ma ormai tornare a casa era indispensabile per sincerarsi almeno delle sue condizioni. Pioveva quel pomeriggio. Poco prima di Viareggio rivide come sempre il mare. “Quante gocce di pioggia si perdono in quella distesa azzurra… tante, quante le storie inghiottite dal Tempo” pensò mentre guidava, con gli occhi che cercavano di adattarsi al ritmo di luci e ombre generato dalle gallerie.
Eppure il mare ogni tanto restituiva qualcosa, proprio com’era capitato con quel quadro.
Trovò il padre sulla sua poltrona. Non appena lo vide, il vecchio tentò di alzarsi con la poca forza rimastagli nelle braccia. La badante subito lo sorresse.
« Fortuna tu sei venuto. Lui piange per mezz’ora dopo telegiornale » disse Ivana nel suo stentato italiano.
« Papà, ma che mi combini? » disse Fabianelli abbracciandolo. « Non ti si può parlare della guerra che subito… »
« Andrea ti giuro che… »
« Sediamoci » lo interruppe il commissario. « Ma ne sei si­curo? »
Parlarono per più di un’ora. Il vecchio raccontò una lunga storia, che in parte già conosceva.
Nel febbraio del ’44 aveva aderito a una delle Brigate partigiane che lottavano in provincia di Carrara. In una delle azioni seguite al rastrellamento di alcuni compagni a opera dei carabinieri, lui insieme ad altri cinque fu prima rinchiuso a Pavia e da lì caricato su un treno per Dachau.
Nel campo aveva conosciuto altri italiani, molti dei quali militari fatti prigionieri al Sud nei primi scontri che avevano seguito l’armistizio dell’8 Settembre.
C’era tra questi un tenente, Michele, un giovane dai capelli castani e dagli occhi verdi. Aveva parlato ai detenuti di quanto era successo nella sua città. Il padre del commissario non ne ricordava il nome, forse era Barletta, ma altri dettagli erano ancora chiari nella sua memoria. I tedeschi avevano rastrellato dei vigili urbani e dei netturbini e li avevano fucilati senza pietà, ammazzando anche altri civili inermi per semplice rappresaglia.
Michele era stato imprigionato e aveva rifiutato di aderire all’esercito della Repubblica Sociale.
« Parlava di libertà, di dignità, anche nei giorni in cui il nostro unico pasto erano le bucce delle patate. E poi mi raccontava della sua donna, che non vedeva ormai da un anno. Per il rispetto che aveva di se stesso e di lei avrebbe resistito, diceva. »
« E poi? » chiese Fabianelli. « È ritornato in Italia con te? »
Il vecchio strinse i pugni e lo guardò dritto negli occhi. I suoi erano di nuovo lucidi.
« Con calma, babbo, raccontami. » Il vecchio inspirò profondamente.
« Un giorno uno dei miei compagni, stremato dalla fame, rimase indietro, separato dalla colonna in cui ci obbligavano a marciare per andare al lavoro. Subito una guardia si mosse verso di lui e cominciò a picchiarlo con un manganello, davanti a noi » Dai suoi occhi scendevano di nuovo lacrime amare. « Il pugliese fu l’unico che corse in suo soccorso. Capisci, Andrea? L’unico che ebbe coraggio. »
Seguì un’altra lunga pausa in cui il vecchio cercò di raccogliere tutte le forze che aveva.
« E cosa successe? »
« La guardia dopo averlo atterrato estrasse la pistola dalla fondina e lo freddò con un colpo alla testa, senza pensarci. Vedemmo il rosso del suo sangue colorare di colpo la neve su cui marcia­vamo. »
Fabianelli lo abbracciò, non fece altre domande. Capì che quel dolore era troppo grande. Quella storia l’aveva sentita forse da bambino, da ragazzo, di sicuro non in quel modo. I fatti assumono un altro colore, pensò, quando hanno o ritrovano un nome e un cognome.
Di ritorno in questura sentì il suo cellulare squillare.
« Dimmi, Galli, sono già di ritorno. »
« Commissario, è arrivata una telefonata da Brindisi. »
« E chi è? »
« Una certa Rosa, commissario, chiamano da una casa di riposo. Dicono che… »
La labbra di Fabianelli si atteggiarono in un sorriso di soddisfazione, come quando nelle indagini i tasselli del mosaico cominciavano a incastrarsi. Accelerò: gli parve di procedere più velocemente alla soluzione del caso.

Il commissario e tutta la sua squadra furono invitati a Barletta. Il Comune, dopo circa sei mesi dal ritrovamento festeggiava la collocazione dell’opera nella pinacoteca cittadina.
Era una giornata d’inizio primavera, con un cielo terso.
Nel breve tratto di strada che dall’albergo lo condusse alla pinacoteca, Fabianelli fu affascinato dal mare e dal promontorio del Gargano, perfettamente visibile in lontananza con la sua cima appena imbiancata.
Quei colori così accesi gli riportarono alla mente, quasi per contrasto, i fatti che lì si erano svolti. È strano, pensò, come nella sua immaginazione la guerra fosse sempre stata in bianco e nero.
Gli sembrava impossibile combattere sotto il sole, di fronte a quel trionfo della vita, della natura.
Si era documentato in quei mesi ed era rimasto colpito dalla ferocia di quelle vicende. Gli parve ancora più significativo il gesto con cui il giovane tenente aveva cercato di mandare un ultimo messaggio alla sua amata. Nella ricostruzione della storia era ormai chiaro che Rosa, al momento della spedizione si trovava già protetta a Brindisi. Lì probabilmente il Sereni, informato da Scelzi, le avrebbe fatto recapitare quel messaggio. Forse Michele era certo che l’opera sarebbe giunta a destinazione, e affidarle una missiva sarebbe stata una garanzia rispetto alle normali comunicazioni, in quei giorni ormai interrotte.
Il commissario arrivò sotto Palazzo Della Marra, la pinacoteca.
Al pian terreno era stata allestita, in un ambiente le cui vetrate si affacciavano su un bellissimo giardino e da lì sul mare, una sala conferenze. Rivide la dama del quadro con il suo cappellino viola, i cui nastri annodati sotto il mento ne incorniciavano il viso dai tratti eleganti e dal sorriso sognante. Anche lei era tornata a casa.
Mentre si avvicinava al tavolo dei relatori non gli sfuggì una donna su una sedia a rotelle, accompagnata da una giovane ragazza. Aveva i capelli grigi e indossava un abito di colore verde.
La ragazza le teneva la mano e le faceva ogni tanto qualche carezza. Aveva di sicuro più di novant’anni, ma era ancora lucida, da quanto poté capire Fabianelli, perché porgeva delle domande alla sua accompagnatrice.
« Presumo che lei sia venuta a ritirare una lettera » disse il commissario abbassandosi verso di lei e cingendole la spalla con il braccio destro.
« Commissario… commissario! » l’anziana signora nell’emozione non seppe dire altro.
« È arrivata con un po’ di ritardo! » disse Fabianelli commosso dal suo sguardo.
« Grazie, grazie! Non so come… » aggiunse Rosa stringendogli la mano che lui le aveva avvicinato. L’ansia che dimostrava non aveva bisogno di altre parole, né il commissario le avrebbe trovate.
Prese dalla tasca della sua divisa la busta ingiallita e la porse alla donna, che allungò le mani rugose e contorte e l’afferrò con esitazione. Subito dopo l’avvicinò al petto e riguardò Fabianelli: i suoi occhi si illuminarono e sembrarono tornare quelli di una ventenne, di una giovane donna. La diede alla ragazza che le era accanto.
Questa stava per riporla nella borsetta, ma Rosa le indicò la tasca della propria giacca. Pretese fosse messa lì e subito dopo vi posò sopra la mano.
L’accompagnatrice sorrise al commissario, facendogli capire che era difficile contraddire la sua assistita.
Rimase con loro ancora per qualche minuto: raccontò a Rosa quanto riferitogli dal padre e che le era già stato anticipato telefonicamente.
« Non sapevo che fine avesse fatto, commissario… per tanto tempo ho sperato fosse vivo. Alcune mattine ero convinta di trovarlo dietro la porta di casa. Poi… nessuno era in grado di dirmi nulla… »
« È morto nel difendere un’altra persona » ripeté due volte Fabianelli. « Era un eroe, un uomo coraggioso. »
La donna non piangeva, ma sorrideva. In quel sorriso che aveva atteso più di sessant’anni per disegnarsi sulle sue labbra si scioglieva finalmente quell’attesa, che con il tempo si era indurita fino a diventare rassegnazione.
Fu invitato a parlare dell’operazione e a consegnare il dipinto tra gli applausi di quanti erano accorsi per l’evento.
Volle però riparlare anche di quel singolare ritrovamento e mentre lo faceva cercò più volte lo sguardo della donna. Immaginò i giorni, i mesi, gli anni, in cui aveva vissuto aspettando una notizia, un’informazione, forse proprio quella lettera. E ripensò a suo padre, a come l’aveva visto piangere e soffrire, a come quella strana storia fosse partita da un segreto, celato per anni in un dipinto appeso in qualche salotto, dietro il sorriso di una dama.
Si può nascondere tutto, il poliziotto ne era sicuro, ma non il dolore, non l’amore.